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La strategia vincente per la comunicazione aziendale del futuro

Le nuove tecnologie hanno stravolto il rapporto tra brand e pubblico: tocca alle Pr aiutare le imprese ad affrontare le sfide del domani attraverso una narrazione che deve essere sempre autentica

Guardarsi indietro per riflettere su come e quanto sia cambiata la comunicazione aziendale negli ultimi dieci anni non è semplice. Perché non si tratta solo di affrontare un cambiamento, seppur radicale, ma di provare a definire i contorni di una rivoluzione assoluta e totalizzante. Ketchum opera sul mercato italiano da più di trent’anni e, alla luce di questa esperienza, si può dire che oggi non ci sia più nulla di quello che era il nostro mondo, ma non all’epoca della nostra nascita, bensì solo cinque-sei anni fa.Ripensando all’epoca pionieristica della comunicazione e delle Pr – parliamo di un quarto di secolo fa – si ha la sensazione di rivivere quell’atmosfera entusiasmante e ricca di opportunità. Perché non c’è alcun ambito del business che non sia profondamente sinergico, in interazione con la comunicazione. Nonostante questo, però, in molti casi il nostro mercato non ha ancora colto la portata di quanto avvenuto. Trovo stupefacente, per esempio, che ci sia ancora da parte di molti attori la distinzione tra digitale e “non digitale”, perché nel mondo attuale questa separazione non ha più senso. Anche perché, a causa della contrazione economica contingente – non mi piace usare il termine “crisi”, perché indica un momento passeggero da cui si esce per tornare indietro, mentre ora ci troviamo in uno scenario inedito rispetto al passato –, c’è stata una massiccia ricerca di efficienza che ha stimolato e sostenuto la grande diffusione della tecnologia.

L’era delle opportunità Se si va oltre ai nostri confini, superando quindi per un attimo l’ottica solamente italiana, il mondo nella sua interezza non sta vivendo di certo un periodo di crisi rispetto a dieci anni fa dal punto di vista economico (lasciando ovviamente da parte le considerazioni geopolitiche): ci sono Paesi come gli Stati Uniti che si rimodellano per confrontarsi con una nuova epoca; nazioni che invece si sono sviluppate in questo quadro, come l’India, quelle del Sud-Est asiatico e dell’Asia stessa; e infine Stati, tra cui l’Italia, che fanno fatica ad adattarsi al nuovo quadro. Una tale situazione può essere paragonata all’universo delle aziende: ci sono, è vero, quelli che fanno fatica, ma altri registrano successi impensabili fino a qualche anno fa. Le imprese che hanno saputo cambiare pelle sono migliaia e rappresentano casi di straordinario successo, da prendere a modello nel mondo come esempi di “creatività sostenibile”.Come si fa a cavalcare il nuovo scenario per diventare protagonisti del mercato? Bisogna puntare su nuove logiche di marketing, di comunicazione e di approccio al mercato che interpretino nel modo giusto le esigenze dei nuovi consumatori come i Millennials e quelli del prossimo futuro, la cosiddetta “Generazione Z”.Dal confronto con una generazione analogica, ci siamo poi trovati ad avere a che fare con i nativi digitali, diversi ma comunque consapevoli di quello che c’era prima. Ora, invece, stanno per arrivare sul mercato individui a cui bisognerà anche spiegare – e non sarà semplice – il mondo “di prima”. Faccio un esempio: qual è oggi il significato della parola “confine”? Non ne ha più in termini di sapere, di geografia e persino di sessualità. E cito appositamente il tema della “diversity”. La diversità, infatti, che è pienamente accettata dai Millennials, ben presto si rivelerà un concetto totalmente estraneo per la Generazione Z.Questo perché il paradigma di questa epoca è che il benessere del singolo non ha valore, se al contempo non porta con sé un progresso contemporaneo della società. C’è da arrabbiarsi, perciò, con chi parla per esempio di crisi dell’associazionismo: mai come in quest’epoca servono strutture di aggregazione, cambia soltanto la loro accezione. L’associazione intesa come organismo burocratico fine a se stesso può anche scomparire, se invece la si interpreta come piattaforma di condivisione di saperi e obiettivi, allora ha piena ragione di esistere in una società “social” in ogni suo aspetto.Questo vale sia per chi è nato in questi tempi sia per chi – pur con 50 o 60 anni sulle spalle – ha saputo adeguarsi o, spesso, ha contribuito direttamente al cambiamento. Ci può essere, infatti, un punto di sintesi tra queste generazioni così diverse nella richiesta di un’economia diversa, fatta di esperienze da provare e condividere. In attesa che anche in Europa vengano rimossi gli ostacoli finanziari e corporativi che frenano la diffusione massiccia della sharing economy come Oltreoceano.

1 – ESSERE SINCERI

2 – ABBRACCIARE IL CAMBIAMENTO

3 – METTERE AL PRIMO POSTO LE PR

4 – MIRARE SUL NATIVE ADVERTISING

5 – COSTRUIRE MESSAGGI COERENTI

6 – CANCELLARE I CONFINI

7 – ACCOGLIERE LA DIVERSITÀ

8 – PUNTARE SULLA RESPONSABILITÀ SOCIALE

9 – CAMBIARE I PROCESSI IN MODO ECOSOSTENIBILE

10 – TRACCIARE PERCORSI RICONOSCIBILI E CROSSMEDIALI

Nuova vocazione Come si può allora interpretare dal punto di vista comunicativo questo rinnovato quadro? È in questo che serve essere “figli di Michelangelo”. Per essere vincenti ed efficaci, non basta puntare sull’experiential marketing, bensì approcciare il mercato con una logica di prodotto diversa, adeguandosi alle tendenze e alle richieste del pubblico. Gli oggetti immutati da tempo immemore, per capirci, sono pochissimi: la caffettiera, che pure si è concessa a restyling importanti; gli orologi, ma solo quelli meccanici, e pochissimi altri esempi. Ma a cambiare è stato anche il significato stesso di molti prodotti: in fondo, chi mai avrebbe potuto pensare che un giorno le persone avrebbero preferito noleggiare una macchina piuttosto che possederla…La domanda a cui trovare risposta al giorno d’oggi è: “Che cosa si intende per comunicazione?”. Veniamo da un’epoca in cui questo settore era un universo composto da sottinsiemi abbastanza identificabili: parlavamo di Pr, con all’interno una serie di discipline; poi passavamo all’advertising, dove c’erano una serie di componenti; e infine c’erano i centri media. Con l’avvento del digitale sono iniziate le sovrapposizioni e, pian piano, le aree grigie sono diventate sempre più ampie fino a diventare preponderanti. Al punto che non si vedono più i confini tra le diverse vocazioni, ma si avverte la necessità di interpretare i valori di proposta differenti.Nel momento in cui si parla di comunicazione, dunque, è necessario comprendere quali vocazioni siano più funzionali al business del cliente, quali siano le parti del lavoro più adatte a sostenerne l’evoluzione strategica ecc. E in questo quadro le public relation – alla luce della loro recente evoluzione – si trovano al centro dell’universo, rappresentano il punto nativo di ogni pensiero di comunicazione. “Fare Pr” implica un’attenzione e una sensibilità particolari per interagire con il cliente, percependone le reali necessità: da lì comincia il lavoro di definizione di un pensiero strategico. Un processo che si declina in tanti momenti tattici, dove entrano in gioco diversi attori, ma a tirare le fila restano sempre le Pr. Ed è proprio in questo la rivoluzione rispetto al passato, quando a comandare erano i volumi: il riferimento del cliente risultava essere chi avrebbe poi presentato la fattura più consistente. La logica dei volumi di budget era una distorsione ed è finalmente stata superata: anche se le proporzioni tra i diversi attori sono rimaste abbastanza costanti, è cambiato radicalmente il valore strategico degli investimenti. Anche se non è il più costoso dei collaboratori, il consulente di public relations è diventato il referente privilegiato delle aziende. E lo sarà sempre di più in futuro.Le ricerche su Millennials e Generazione Z, infatti, pongono delle sfide importanti alle imprese in termini di propensione allo sharing.

Dubbi e certezze Se, però, i Millennials seguono ancora delle logiche di fidelizzazione al marchio – pur dopo un’analisi dei valori aziendali, con particolare attenzione alla responsabilità sociale e all’ecologia – la Generazione Z fa tutto tranne che legarsi a un brand. Ogni ipotesi di acquisto è figlia di una logica diversa dalle precedenti esperienze, e questo per il marketing delle aziende è drammatico. Ma può esserlo anche in positivo, perché chi sa cogliere le dinamiche ha la possibilità di riscuotere un grande successo. Come si può fare? Bisogna conquistare la fiducia ogni giorno, facendo coincidere ciascun prodotto con i propri valori-chiave e senza fare errori di immagine, perché ogni scivolone lascia traccia nella coscienza collettiva.L’altra grande differenza tra 18-35enni e i loro fratelli minori è nelle “certezze”: entrambe le generazioni mettono sempre tutto in discussione, ma mentre i Millennials sono capaci di non identificarsi in un luogo e immaginano il loro futuro senza confini e appartenenze, la Generazione Z sta riscoprendo il valore del rifugio sicuro, (tipicamente la casa di proprietà). Pur tesi a fare esperienze lavorative in ambito internazionale, quindi, sentono l’esigenza di una certezza alle spalle per un’imprevedibile riscoperta di valori antichi. Che poi forse così antichi non sono.

OGNI IPOTESI D’ACQUISTO

SARÀ FIGLIA DI LOGICHE PARTICOLARI:

I BRAND DOVRANNO CONQUISTARSI

LA FIDUCIA DEI CLIENTI OGNI GIORNO

Credibilità innanzitutto Il problema delle aziende perciò diventa quello di rimanere credibili in questo processo di cambiamento: non basta una bella pagina Facebook, assumere tre blogger per animare i canali o sceglie i testimonial giusti per sponsorizzare i propri prodotti. Serve un “cambio di pelle” e questo cambiamento deve partire dai consigli di amministrazione, perché l’errore più grande che si possa fare in questo momento è scegliere percorsi di convenienza. Se si vuole apparire adeguati alle richieste del mercato, bisogna essere i primi a credere nei nuovi valori.Certe politiche vanno abbracciate e non interpretate, soprattutto nel momento in cui si va a fare pubblicità. L’Adv di per sé è uno strumento che raramente fa presa sui Millennials e non avrà quasi nessun appeal sulla Generazione Z, ragazzi che identificano nei propri pari gli unici influencer affidabili. Alla luce di tutte queste trasformazioni, in ogni forma di comunicazione – anche quella privata – non è più accettabile non essere veri. L’autenticità, anche sui social network, non vuol dire rinunciare alla privacy, ma essere sinceri.Questo è ancora più importante quando si vanno a utilizzare strumenti di sempre maggiore diffusione come il native advertising, che è un modo di interpretare lo storytelling. Se decido di raccontare una storia, insomma, deve essere un racconto veritiero, altrimenti quello sforzo si trasformerà in un boomerang. La parola del futuro, quindi, è journey, un termine che preferisco a engagement: la comunicazione diventerà un viaggio, una storia coinvolgente e crossmediale, riconoscibile a prescindere dal media che sto fruendo.

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