La rivoluzione del design. Intervista a Loredana La Fortuna

Studiare l’evoluzione delle nostre case, della cucina in particolare, è come scrivere un vero e proprio trattato di antropologia. Perché i suoi arredi e gli strumenti tecnologici che la popolano, nel tempo, hanno contribuito a trasformare la società. E ancora di più lo faranno in futuro

Loredana-La-FortunaDopo un dottorato di ricerca in 'Teoria del linguaggio e scienze dei segni', Loredana La Fortuna collabora con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e con il Politecnico di Bari. Le sue ricerche si indirizzano prevalentemente verso analisi dei fenomeni di moda e design

«Sono socio-semiologa del design, ma non mi definisca così che sembra una parola spaventosa: diciamo che sono una studiosa di design e mi interessa molto il modo in cui ha influenzato la società. La cucina, poi, è uno dei miei luoghi preferiti per questa indagine. Ho dedicato a lei anche la mia tesi di dottorato». Loredana La Fortuna, docente e scrittrice (La cucina di design. Cibo, tendenze, moda per Progedit e È una questione di design: il senso degli oggetti nella cultura, pubblicato da Meltemi) ci risponde al telefono da Bari. In Italia, è tra coloro che hanno maggiormente approfondito il rapporto tra gli oggetti e la società.

Come mai la cucina è il suo spazio preferito in casa?
Non certo perché so cucinare (ride), anche se in Puglia la cucina è una forma altissima d’arte. Mi affascina questo ambiente perché, come hanno detto altri studiosi ben prima di me, studiarne l’evoluzione è come scrivere un vero e proprio trattato di antropologia.

Il design ha conseguenze così importanti sulla nostra società?
Dipende da che cosa si intende per design, parola intraducibile in italiano. Il design è disegno, progettazione, idea, oggetto. Design è quell’operazione che l’essere umano mette in atto per appropriarsi del suo habitat naturale, trasformandolo, creando oggetti che lo aiutano a vivere e a stare al mondo. E questi oggetti sviluppano e stimolano a loro volta pratiche nuove e nuovi stili di vita e, con essi, anche nuove problematiche. Facciamo un esempio.

Prego.
Pensiamo a come sono cambiate le nostre case da quando vi è entrata la tv. La Rai compie i suoi 70 anni quest’anno. Se ci fermiamo a riflettere, appare evidente come la televisione abbia finito per connotare gli ambienti di casa, segnalare la stanza di ritrovo d’elezione, quella in cui condividere una visione. Questo accadeva agli inizi, quando di apparecchio in casa ce n’era solo uno e non esistevano altri schermi.

E in cucina, invece, che cosa è successo?
La cucina è il luogo della casa in cui da sempre l’uomo trasforma ciò che è naturale in un artificio, il cibo cucinato, ovvero l’unico manufatto che noi ingeriamo, in una connessione inedita tra ciò che noi siamo e il mondo esterno. Quindi abbiamo questa cucina che, simbolicamente, è un luogo alchemico, un posto magico. Ma non solo. La cucina è anche il luogo del consumo: è lo specchio della società. La prima grande rivoluzione avviene in Inghilterra, alla fine dell’Ottocento, con le cucine in ghisa che dimezzano i tempi di lavoro. Pochi anni ancora e la rivoluzione industriale, in America, cambia anche la cucina made in Usa: bisogna razionalizzare gli ambienti, così come si fa in fabbrica, e creare un unico piano per rendere le operazioni della donna di casa più semplici, meccaniche. In Europa dobbiamo aspettare il Dopoguerra per vedere trasformate le vecchie cucine patronali, a volte su due piani e scomodissime, in cucine “moderne”, create a ferro di cavallo in un unico ambiente dove la donna si muove come una prima attrice sulla scena. E negli anni Cinquanta per la prima volta la cucina è collegata con una porta scorrevole: si apre al resto della casa.

Che cosa significa?
Che esiste una connessione tra la cucina e l’ambiente in cui si mangia, che la donna non è più solo relegata ai fornelli, quasi in isolamento, nascosta. È allora che in Italia si realizza la più importante rivoluzione sociale in cucina: l’introduzione degli elettrodomestici, che ebbe un fondamentale impatto sull’emancipazione femminile.

Quali furono gli elettrodomestici più importanti sotto questo aspetto?
Il frigo bianco stondato era l’oggetto del desiderio di ogni sposina. Pensi che è stata fatta di recente un’indagine sulle liste nozze dell’epoca e si è visto che era l’elettrodomestico più richiesto. Il frigo liberava il tempo delle donne perché permetteva la conservazione degli alimenti e degli avanzi, evitando di fare la spesa tutti i giorni. Oltre al frigo anche la lavatrice ha finalmente reso indipendente la donna da interminabili bucati, che le impedivano di avere tempo per sé. La rivoluzione in cucina, grazie all’introduzione del frigo e di altri semplici utensili come il mocio, ha contribuito anche a una maggiore cura del corpo delle donne, ad esempio delle unghie, che venivano risparmiate dai lavori usuranti di prima.

Che cosa è successo negli ultimi tempi?
Il design ha continuato la sua rivoluzione. Dagli anni Ottanta si abbattono i muri: le cucine diventano a vista, perché l’atto stesso di cucinare si trasforma in una pratica da condividere. Mentre nell’ultimo decennio gli elettrodomestici smart hanno contribuito all’emancipazione femminile grazie alla diffusione di robot, che permettono a tutti di cucinare più velocemente anche senza particolari abilità. Non solo: hanno contribuito a creare una cucina connessa.

Cosa intende con questo termine?
La connessione avviene a tanti livelli. Penso a una cucina connessa perché più inclusiva in quanto non più focolare esclusivo della “madre di famiglia” ma alla portata di tutti, penso a una cucina più connessa e sintonizzata con il mondo, con le diverse culture e tradizioni, e penso anche a una cucina più connessa col passato, capace di rileggere antiche ricette in chiave moderna grazie a nuovi strumenti. Un robottino oggi ci permette di fare l’impasto delle orecchiette senza tutto il lavoro che era necessario alle nostre nonne e alle nostre madri. Gli elettrodomestici ormai da tempo non sono più dei meri strumenti, ma dei compagni di viaggio: pensiamo, per esempio, alle nuove pentole che sono entrate nelle nostre case per cucinare piatti etnici. Un domani bisognerà che il design si adegui anche in altre cose: nel portaposate non dovrà mancare uno spazio per le bacchette.

Come sarà il design del futuro in cucina?
Ci sarà una connessione ancora maggiore. A oggi, come dicevo, il design ha realizzato in cucina un’inclusione che raramente vediamo in altri luoghi della società. Nelle nostre cucine ormai cucinano tutti: uomini, donne, anziani, disabili, persino bambini. La cucina è diventato uno spazio aperto e il design di oggi ha lavorato moltissimo in questa direzione.

E quale ruolo immagina per la cucina di domani?
Ritengo che la cucina debba passare all’essere il luogo della convivialità, a uno spazio di comunità in cui ognuno può esser sé stesso insieme agli altri. Se ci pensiamo bene, è l’unico ambiente della casa dove questo può avvenire, a differenza di spazi molto più intimi e privati come il bagno, la stanza da letto, lo studio.

In che modo questo potrebbe succedere?
In futuro credo che trasformare tutti i piani e le superfici della cucina in interfacce di dialogo con l’utente sarebbe utile per gestire meglio il cibo, per evitare sprechi, per un uso più corretto dei consumi e per pratiche alimentari più sane. La cucina del futuro dovrà essere connessa e smart, non solo perché potrò programmare anche in mia assenza la cottura al forno, ma perché sarà davvero connessa col mondo che cambia, ad esempio introducendo metodi e modelli anche diversi da quelli occidentali. Siamo una società in profonda evoluzione e il design per una cucina connessa con i tempi non potrà prescindere dall’essere inclusivo e interattivo.


Intervista tratta dallo speciale L’anima della cucina 2024, allegato a Business People di aprile. Scarica il numero o abbonati qui 

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