«Se c’è una cosa che ho imparato, è che nel business non vince chi corre più veloce, ma chi sa dove andare. E questo, amico mio, è il regno della strategia». Con queste parole esordì una sera un top manager con cui stavo condividendo una cena. Mi raccontò quanto, in gioventù, fosse stato ossessionato dal risolvere problemi nel minor tempo possibile: aggiungere un’iniziativa all’altra, tagliare costi, aumentare le vendite, superare l’ennesima crisi operativa.
Tutto sembrava urgente, tutto meritava una risposta immediata. Solo che con il tempo aveva capito che la vera leadership non si misura nella prontezza delle risposte, bensì nella qualità delle domande. Non si tratta solo di fare qualcosa, ma di capire perché lo stiamo facendo, a che prezzo lo stiamo facendo e dove ci porterà.
«La strategia deve essere la bussola», aggiunse sorridendo, «senza, si rischia di muoversi inutilmente nella direzione sbagliata. La tattica, invece, è il passo quotidiano, necessario, ma che va orientato con cura. Ho visto aziende sprecare energie immense in progetti ben eseguiti, ma inutili. Perché mancava una visione». Mi disse anche come avesse visto molti manager confondere l’ambizione con un piano operativo, che non si chiedevano mai quale impatto volessero produrre nel tempo e cosa bisognasse fare nel presente per raggiungere quell’obiettivo in futuro; e aggiunse: «C’è un modo per capire se una strategia è buona: deve essere chiara, motivante e fare paura, perché deve rompere con l’abitudine e richiedere coraggio».
E poi mi spiegò come non esista strategia senza adattamento, che bisogna imparare a riconoscere quando una deviazione tattica serve a salvare il viaggio; come ogni decisione tattica, per essere utile, debba servire la direzione strategica. Aggiungendo: «Il segreto? Standardizza il tuo processo decisionale. Non per burocratizzarlo, ma per assicurarti che ogni scelta importante venga affrontata con metodo: poniti le domande giuste, analizza i fatti, valuta alternative vere (non solo quelle “comode”), e soprattutto, documenta ciò che hai deciso, e perché. Quando si naviga nel cambiamento, servono punti fermi».
Da ultimo ma non per ultimo, prima di lasciarci all’ingresso del ristorante, mi ammonì: «Soprattutto, condividi la visione. Se le persone non sanno dove si sta andando, non potranno mai aiutarti ad arrivarci. Una strategia non comunicata è come una mappa chiusa in un cassetto. Parlane. Ripetila. Rendila comprensibile. Crea una lista viva delle questioni strategiche aperte. Non lasciare che siano dimenticate o affrontate in riunioni inutili. Decidi quali sono davvero importanti, e quali solo vano rumore di sottofondo. E non dimenticare di ascoltare tutti, sempre».
Che dire? Qualche anno è passato d’allora, non so fino in fondo se e quanto sia riuscito a mettere in pratica di quei preziosi consigli, ma di certo una cosa ho imparato nel frattempo, ed è che nel business il futuro appartiene soprattutto a chi sa scegliere le battaglie giuste, non solo a chi può combatterle.
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