Tutto un altro smart working

Passata l’emergenza questo strumento è destinato a rimanere, ma in un modello ibrido, molto diverso da quello sperimentato durante il lockdown. E anche le normative si adeguano

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La scrivania è al centro del dibattito sullo stato di salute del lavoro. Meglio a casa o in ufficio? The New Yorker ci ha dedicato, con una bellissima illustrazione di Bianca Bagnarelli, la copertina di gennaio 2024: una ragazza in smart working con la sua tazza di caffè, il suo computer e il suo gatto guarda fuori dalla finestra sconsolata i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno. Per la serie: devo avere sbagliato qualcosa. «Volevamo cambiare il mondo e il mondo ha cambiato noi», rifletteva uno dei personaggi di C’eravamo tanto amati di Ettore Scola sul Dopoguerra italiano e la rinascita dell’occupazione. A ben vedere è anche la storia di Adam Neumann, uno dei tre fondatori di WeWork, la società finita in bancarotta che ora vuole riacquistare con il supporto finanziario di un hedge fund.

Lo smart working dal lockdown a oggi

Ma come è cambiato il mondo in questi quattro anni dal primo lockdown? Quel che è certo è che anche le aziende italiane iniziano a fare i conti con una delle eredità più interessanti: lo smart working nella sua applicazione estesa e massiva. Una necessità nata durante l’emergenza che in poco tempo ha modificato le abitudini e le aspettative delle persone, la cui eredità presenta oggi luci e ombre che vanno capite per trovare un equilibrio. Non si tratta di invertire la rotta, bensì di aggiustarla rispetto all’utilizzo di uno strumento destinato a restare nella vita lavorativa, ma che deve essere ripensato nelle modalità di applicazione, oggi ancora troppo legate alla necessità di una emergenza ormai conclusa. I dati del Future Workplace Index 2023 di EY indicano che negli Stati Uniti il numero di coloro lavorano completamente da remoto è crollato dal 34% nel 2022 all’1% nel 2023, segno tangibile di come un modello ibrido stia superando quello post emergenziale, che era nettamente sbilanciato sullo smart working.

Dal punto di vista delle aziende i rischi di un’applicazione troppo estesa e non organizzata del lavoro da remoto sono la difficoltà di comunicazione tra le persone, la riduzione del senso di appartenenza, la minore interazione tra colleghi e il rischio di conflitto tra dipendenti, divisi tra quelli che possono usufruirne e altri che, invece, svolgono attività che richiedono necessariamente la presenza. Ma anche i dipendenti hanno riscontrato i limiti di una organizzazione sbilanciata sul lavoro da casa, che porta al timore di perdere momenti di confronto e coinvolgimento, di essere marginalizzati o esclusi da opportunità di crescita o, nel caso dei nuovi inserimenti, un possibile rallentamento nell’apprendimento e maggiori difficoltà a entrare nella squadra. L’esperienza sta dimostrando che il luogo di lavoro non è fatto solo di sedie e scrivanie, ma soprattutto di persone: è uno spazio relazionale vitale per aziende e dipendenti.

Il trend negli Stati Uniti…

L’incontro genera creatività, innovazione, senso di appartenenza e gioco di squadra, un valore che nemmeno il più evoluto strumento di interazione online può creare. Nel 2023 l’amministratore delegato di Ibm, Arvind Krishna, intervistato da Bloomberg, ha segnalato che lo smart working può essere «pericoloso per chi vuole fare carriera», e la sua azienda all’inizio del 2024 ha dato sette mesi di tempo ai dipendenti per organizzarsi per garantire il rientro in una sede aziendale almeno tre giorni a settimana oppure lasciare il gruppo; una richiesta forte che ha fatto notizia, ma che ha numeri in linea con quella di altri player internazionali, come Amazon, Google, Meta e JP Morgan, società che hanno ridotto i giorni di smart working riconoscendo il lavoro in presenza come una condizione necessaria.

… e in Italia

In Italia le grandi imprese stanno individuando un giusto equilibrio tra presenza e lavoro da remoto, con numeri che vanno dagli otto giorni mensili (Terna, Eni e Leonardo) a nove (Enel e Poste) fino a 11 (Ferrovie), tendenza in linea con i dati di chi ha scelto di dare un tetto su base annua (Banca d’Italia prevede 100 giorni). Alcune di queste aziende, ad esempio Enel, garantiscono forme di ulteriore flessibilità e giorni aggiuntivi per situazioni particolari, esigenze familiari o temporanee. La direzione scelta da molte delle grandi aziende è di lasciare ai responsabili la facoltà di organizzare la presenza in modo da individuare il migliore equilibrio tra vita privata e necessità lavorative.

Gli smart worker nel 2024 sono 3,65 milioni, il 541% in più rispetto al pre-Covid (Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano): numeri che fanno capire l’importanza di un utilizzo maturo ed evoluto dello strumento, non basato più sulle urgenze dettate dall’emergenza, ma dalla necessità di conciliare produttività e benessere.

LE ULTIME DAL MONDO DEL LAVORO

Smart working: la fine del regime semplificato

Dal primo aprile poi la novità più dirompente: anche nel settore privato è diventato obbligatorio sottoscrivere un accordo individuale tra lavoratore e datore, come previsto dall’art. 19 della legge 81 del 2017. Non è più concesso in alcun modo e a nessuna categoria di lavoratore il regime semplificato, senza accordo. Che deve regolare «i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro», precisa la norma.

La legge assegna priorità alle richieste formulate da: lavoratori con figli fino a 12 anni di età, o senza limite di età nel caso di figli disabili, lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata, o caregiver. Inoltre, il cosiddetto decreto anziani prevede che venga riconosciuta una priorità nello smart working anche a coloro che hanno dai 65 anni in su. Priorità però non significa diritto assoluto. Se l’azienda decide di non implementare lo smart working, anche i lavoratori appartenenti alle categorie sopra citate devono adeguarsi.

Nella Pubblica amministrazione lo smart working semplificato per i fragili è terminato invece il 31 dicembre scorso. Una direttiva del ministero della Pubblica amministrazione, però, prevede la necessità di garantire ai lavoratori che documentano «gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari » la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, «anche derogando al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza». Spetta ai dirigenti individuare le misure organizzative necessarie per garantire questa possibilità.

Tra le idee per ripensare il lavoro ci sono quelle interessanti espresse da Marco Bentivogli, fondatore di Base Italia ed ex sindacalista Cisl, che punta subito il dito fin dalla copertina e dal titolo del suo libro: Licenziate i padroni. Come i capi hanno rovinato il lavoro (Rizzoli). La tesi: «In Italia le dinamiche del rapporto lavorativo restano ancorate a vecchi concetti padronali. La ricchezza si eredita e il lavoro dipende ancora dalle amicizie e dalle relazioni. Con un’aggravante di cui forse non ci si rende conto fino in fondo: il digitale e la nuova stagione dell’intelligenza artificiale stanno cambiando tutto anche per i colletti bianchi», spiega l’autore. Da remoto o in presenza, ritorno al passato o tuffo nel futuro.


Articolo pubblicato su Business People di giugno 2024. Scarica il numero o abbonati qui

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