Manager: il nuovo leader è ambiverso

Né estroverso, né introverso. Oggi ogni bravo leader dovrebbe trovare la giusta via di mezzo, adattando il proprio atteggiamento alle diverse situazioni. Perché se a volte serve un capo che “trascini” il team verso gli obiettivi fissati, in altri contesti è indispensabile saper ascoltare i propri collaboratori

Manager: il nuovo leader è ambiverso© IStock

Meglio un manager come Bill Gates, con la sua ritrosia posh o uno Steve Jobs, tecno-preacher per audience adoranti? O, ancora, è più efficace un approccio impattante come quello di Elon Musk o visionario come per Jeff Bezos? La domanda non è casuale. Stiamo assistendo a una rivoluzione nel mercato del lavoro, e per una volta non tanto in termini economici, quanto nella percezione valoriale dei suoi stessi protagonisti, i lavoratori, motore primo di sviluppo di qualsiasi settore.

Degli effetti dirompenti della pandemia su tutti i settori economici si è detto molto, ma questi sono tutt’altro che esauriti con la fine dei lockdown. «Nulla sarà come prima», da slogan per la ripartenza è diventato profezia dai contorni ancora sfuggenti. Di certo per ora si sa che non c’è cambiamento reale senza una leadership che se ne faccia carico responsabilmente. Ma quale leadership?

Manager: una diversa concezione del potere

I rapporti Anpal ed Excelsior sullo stato del labour market raccontano di posizioni vacanti, personale formato che prende il volo e tornerà, forse, un giorno, ma soprattutto di gente che il lavoro lo lascia. Dalle Comunicazioni Obbligatorie presso il ministero del Lavoro emerge che nei primi nove mesi del 2022 solo in Italia si sono dimesse 1,6 milioni di persone, il 22% in più rispetto al 2021. Un dato addirittura in crescita rispetto all’anno immediatamente successivo alla pandemia, quando a rinunciare al posto sono stati 1,3 milioni di dipendenti.

«È cambiata la percezione del lavoro a tutti i livelli», ci spiega la dottoressa Silvana Dini, coach, consulente di direzione e psicologa del lavoro nonché co-fondatrice e Steering Committee Member della Society for Coaching Psychology Italy e ISCP Honorary Vice President. «Il fenomeno delle grandi dimissioni è collegato a una presa di coscienza delle persone durante la pandemia, che hanno sperimentato o ritrovato altre modalità di vita, e non sono disposte a tornare indietro. In questo scenario, una diversa leadership può effettivamente fare la differenza. In particolare, una leadership diversa nella concezione e gestione del potere».

A maggior ragione in momenti storici in cui tutto il mondo produttivo si trova a fare in conti con una realtà economica (e ormai sempre più politica) che non è decisamente quella di prima. Si parla di innovazione, che è sempre più transizione verso cambiamenti radicali, che implicano diversi modi di progettare, programmare, gestire. Senza tuttavia poter abbandonare ex abrupto i modelli sin qui seguiti.

Manager: il nuovo leader è ambiverso

Come gestire la transizione?

Come gestire la transizione verso il nuovo, senza soccombere è una questione sorta in realtà già da tempo, e piuttosto dibattuta. Ci spiega Silvana Dini che «Quasi venti anni fa Harvard Business Review ha pubblicato un articolo che ebbe il suo momento di moda parlando della leadership e delle organizzazioni ambidestre (O’Reilly CA 3rd, Tushman ML. The ambidextrous organization. Harv Bus Rev. 2004 Apr, 8). Nell’articolo, gli autori approfondivano quanto sia importante che il management delle organizzazioni si rivolga costantemente indietro, occupandosi dei prodotti e dei processi del passato, ma guardi anche avanti, preparandosi alle innovazioni che definiranno il futuro. Attraverso uno studio, infatti, evidenziano come oltre il 90% delle organizzazioni ambidestre raggiungano i propri obiettivi».

Emblematico il caso di Usa Today, che da classico newspaper è riuscito a cavalcare l’onda della digitalizzazione imparando sì i linguaggi dei nuovi media, ma integrandoli con i vecchi. Perché fosse possibile, si è reso necessario valutare la capacità del management di muoversi contemporaneamente sui due fronti della “visione” e della conservazione. «Oggi il concetto evolve grazie anche alle ricerche di Otto Scharmer e del Mit di Boston e al prezioso portato della Theory U verso una concezione di leadership che integra una mente aperta, un cuore aperto e una volontà aperta per generare cambiamenti consapevoli di sistema». Vale a dire che tramontata definitivamente l’era del rampantismo, all’autorità di vertice si sostituisce uno stile di leadership capace di leggere i contesti e reagire in modo efficace, che padroneggi approcci assertivi (estroverso), ma sappia anche muoversi su un piano emotivo (introverso), ossia un leader ambiverso.

Nuova realtà, nuovi approcci

Proprio il lockdown improvviso e forzato ha messo in luce le inadeguatezze dei vecchi modelli di guidance. Il lavoro in team, singoli e riuniti in gruppi più grandi, in assenza dei simboli del potere, ha richiesto capacità empatiche cui la leadership tradizionale non aveva mai prestato troppo attenzione. Laddove era dato generalmente per assodato che una buona dose di estroversione fosse qualità imprescindibile per un buon leader – e probabilmente in presenza l’assertività poteva avere dei vantaggi – si è rivelata insufficiente in condizioni di lavoro da remoto. Protetti da schermi, riuniti giocoforza in piccoli team, sottratti al controllo diretto, è emersa la capacità di comunicare in modo più persuasivo come fattore di autorevolezza. Con la nuova normalità ibrida è più che mai opportuno fare tesoro dell’esperienza e acquisire le soft skill mancanti.

«In condizioni impattanti come può essere stato il Covid, le organizzazioni sono costrette a rivedere i propri meccanismi di funzionamento, e il leader la maniera in cui si relaziona agli altri. Questo si traduce in un diverso modo di rivolgersi ai propri collaboratori, privilegiando approcci meno professionali e più empatici. Nella formazione manageriale oggi è di moda il retreat, in cui le persone si incontrano come esseri umani in situazioni full immersion, non per questioni di lavoro, ma proprio per entrare in contatto. È chiaro che in situazioni difficili, e il fenomeno delle grandi dimissioni lo conferma, i vecchi meccanismi che hanno funzionato finora mostrano le crepe e addirittura saltano per aria».

Il leader ambiverso è quello che sa fare un passo indietro, oppure avanti, quando la situazione lo richiede, che sa dare spazio e visibilità ai collaboratori, essere assertivo quando c’è da seguire una visione, ma disponibile ad accogliere eventuali criticità come occasioni di crescita del gruppo.

Un ripensamento completo del ruolo

Più voci, nel settore, si sono levate negli ultimi anni con proposte e analisi che vanno proprio in questa direzione: Margherita Mayo, docente di Leadership e Organizational Behavior all’EI Business School di Madrid, in occasione dell’ultimo Leadership Forum di Performance Strategies ha parlato di “autenticità” applicata alla leadership, Stephen M. R. Covey – Ceo della società di consulenza CoveyLink Worldwide e autore di vari best seller sulla leadership efficace – va addirittura oltre, sostenendo che «la fiducia è la nuova valuta globale della leadership».

Parole come motivazione, inclusività, ascolto, creatività e persino felicità sono sempre più unite concettualmente all’immagine della leadership moderna, che all’efficacia della sua azione integra l’adesione dei collaboratori a tutti i livelli. Non uno spostamento dell’attenzione quindi, ma il ripensamento completo del ruolo, un cambio di relazione da “molti a uno” a “uno a molti” si direbbe in informatica. Se, però, tutto questo sia realizzabile in un comparto imprenditoriale che non coinvolga solo startup e giovani manager è da vedere.

Tutti i manager possono imparare

«La buona notizia è che anche manager di lungo corso possono imparare», spiega Silvana Dini. Il mito del capo carismatico, che non sbaglia mai (e in ogni caso non lo ammette), duro e spietato per il gusto di esserlo è, per l’appunto, relegato nel campo della mitologia. Un manager come Jack Welch, famigerato Ceo di General Electric, spregiudicato tagliatore di teste, oggi non avrebbe più seguito nemmeno con gli stakeholder.

Eleba Lytkina Botelho, partner di ghSMART e fondatrice del Geneome Project, che studia cos’è che fa di un manager un vero leader, afferma che il Ceo deve essere come un direttore d’orchestra, in grado di coinvolgere tutte le parti senza privilegiarne nessuna.

«Il capo che deve tenere tutto sotto controllo », continua Dini, «è figlio di una cultura, non soltanto di caratteristiche personali. Il focus dei programmi di coach oggi è orientato alla modifica di situazioni concrete, e dalla tecnica contingente in breve tempo si osserva un cambiamento completo di approccio ai problemi di gestione dei team. Si passa, cioè dal dare indicazioni al porre domande ai propri collaboratori e si scopre un altro mondo». Da qualunque parte si guardi è un processo win-win, perché se da un lato il leader ambiverso condivide il successo con i suoi collaboratori, dall’altro – nei confronti di questi ultimi – acquisirà affidabilità e autorevolezza. «Il potere non diminuisce, perché nella misura in cui viene concesso ad altri, torna indietro con gli interessi».

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