Perché in tema Diversity, Equity & Inclusion l’Italia deve svoltare

La buona volontà non basta. Secondo la ricerca The Future of Work, nel nostro Paese cresce la sensibilità in tema di Diversity, Equity & Inclusion, ma le azioni pratiche restano insufficienti. E non tutti i tipi di diversità godono della stessa attenzione. Perché sono poco comprese le ricadute in termini di business. Ecco quali sono

Diversity, Equity & Inclusion© iStockPhoto

Un muro di diffidenza da abbattere, un valore, quello della DE&I – Diversity, Equity & Inclusion – che va coltivato e incoraggiato, perché i vantaggi sono tanti, non solo per i singoli, ma anche per le imprese stesse. In Italia le cose migliorano di anno in anno, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Dati pubblicati in un report del 2022 dal World Economic Forum dicono che il nostro Paese figura al 63° posto nella graduatoria basata sul ranking conseguito nel Kpi denominato Global Gender Gap Index (nel 2023 è scesa al 79°*) . Una posizione non proprio lusinghiera. Una fotografia dettagliata e attenta della situazione arriva dalla ricerca The Future of Work 2022, curata da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano. Curato da Fabrizio Lepri, docente di Gestione e sviluppo delle Risorse umane presso l’Università degli Studi di Roma Tre, per redarlo sono stati intervistati ben 100 responsabili Hr delle maggiori aziende in Italia.

Diversity, Equity & Inclusion: l’impegno delle aziende italiane

La buona notizia è che l’impegno a perseguire politiche più virtuose e a implementare la DE&I è presente in ben il 92% dei manager intervistati, con il 42% che ammette di avere una percezione particolarmente spiccata della questione e delle sue implicazioni. La buona volontà è il primo passo. Ma da sola non basta. La ricerca di Inaz mette in evidenza non solo come le azioni pratiche siano ancora insufficienti. Spesso manca proprio la corretta interpretazione di quello che DE&I significhi.

«Da Future of Work 2022», spiega a Business People Linda Gilli, presidente e amministratore delegato di Inaz, «emerge la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico, ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business e fiducia della comunità finanziaria». Posto che l’aspetto etico è molto importante, non è stato ancora capito quali siano i vantaggi che un corretto approccio alla DE&I porta alle aziende e così solo il 50% degli intervistati pensa che la cultura del rispetto delle diversità possa influire sui risultati di business, mentre appena il 42% ritiene che possa favorire la fiducia nella comunità finanziaria. Eppure i segnali che, andando in questa direzione i risultati, anche sul piano economico, sono evidenti, diventano sempre più numerosi. Secondo una ricerca di Boston Consulting Group, per esempio, le aziende con una attenzione maggiore alla DE&I raggiungono risultati economici e di innovazione del 19% superiori a quelle che non hanno cura di questo aspetto.

Gli stessi consumatori iniziano a orientare le loro scelte a favore delle aziende che implementano policy a favore dall’inclusività. Pratiche che ormai in Inaz, azienda leader nella fornitura di software e soluzioni per amministrare, gestire e organizzare il lavoro, sono consolidate da anni. «In estrema sintesi, in Inaz valorizziamo le diversità. La nostra è un’azienda di persone per le persone. Sappiamo che la diversità delle persone è un valore prezioso, capace di arricchire le imprese e chi nelle imprese lavora».

In Italia non tutti i tipi di diversità godono della stessa attenzione

Scorrendo la ricerca Future of Work 2022, ci si rende purtroppo conto del fatto che nel nostro Paese non tutti i tipi di diversità godono della stessa attenzione. Il 78% degli intervistati mette al primo posto la disabilità, alla quale viene destinata la sensibilità maggiore, seguita a ruota dalla diversità di genere, con il 76%. Ancora troppo poco interesse, però, converge su temi che invece diventano sempre più importanti, anche nel dibattito pubblico, come l’orientamento sessuale, l’origine geografica e la religione.

Aspetti importanti e che compaiono rispettivamente solo nel 50%, 48% e 34% delle risposte. Per quanto riguarda la differenza di provenienza geografica e di religione, la non altissima attenzione può essere giustificata dal fatto che, fra i dipendenti delle aziende italiane, le persone provenienti da altri Paesi, caratterizzati da diverse culture e religioni sono un numero ancora relativamente ridotto. Discorso diverso per quanto riguarda la differenza di orientamento sessuale. In questo caso ci si trova ancora di fronte a un tabù.

A proposito di pregiudizio in fatto di orientamento sessuale, The Future of Work 2022 mostra come già l’Istat, nel biennio 2020-2021, avesse messo in evidenza gli ambienti dove il problema della discriminazione fosse più sentito. Al primo posto si erano classificate scuole e università, con il 46,9% delle risposte. Tutte le altre posizioni, però avevano a che fare con la sfera lavorativa. Il 34,5% degli intervistati aveva parlato di discriminazioni sul luogo di lavoro da lavoratore dipendente, il 32,5% aveva evidenziato discriminazioni in fase di ricerca di un’occupazione, mentre il 20,8% aveva denunciato un clima ostile in ambito lavorativo. Segno che la strada da fare per abbattere questo specifico tabù è ancora lunga.

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Diversità significa arricchimento

Ma come si favorisce una maggiore consapevolezza del fatto che diversità significa arricchimento? L’amministratore delegato di Inaz, Linda Gilli, ha le idee molto chiare. «Le aziende possono fare molto», spiega: «Specie quelle consapevoli che i dipendenti sono prima di tutto persone. E in quanto tali vanno considerate con il massimo rispetto, appunto, della DE&I. Molto possono fare, a monte, la famiglia e la scuola, ovvero genitori e insegnanti che hanno la primaria responsabilità nell’insegnamento e nel radicamento dei valori. Molto può incidere l’azione politica, creando le condizioni oggettive perché la DEI divenga… normale. Perché siamo in ritardo? Perché la diversità spaventa. Nel tempo si sono accumulati molti strati di pregiudizio. E sul pregiudizio sono stati costruiti muri di diffidenza. Senza ricorrere a giri di parole, vanno abbattuti».

Fin qui la teoria. Passando alla pratica, la ricerca curata da Inaz – Ossevatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano mette in evidenza come la strada da percorrere sia ancora lunga. «A livello di strutturazione del piani DE&I e delle azioni messe in atto», spiega ancora Gilli, «meno della metà delle aziende intervistate dice di avere una pianificazione presente e fra quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede di elaborarne una nel prossimo futuro».

Fra quelli che hanno già iniziato a muoversi in modo concreto, le iniziative sono soprattutto rivolte a contrastare la disparità di genere, che conquista il primo posto con il 76%. Si cerca di intervenire soprattutto per eliminare lo sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. Il problema, però, è che dopo appena il 44% delle aziende implementa anche azioni di monitoraggio per evitare che il problema torni o si ripresenti di nuovo. E, anche in questo caso, ambiti dove la discriminazione è forte, come l’orientamento sessuale e l’appartenenza religiosa, non ricevono ancora la dovuta attenzione. Il 60% dei responsabili delle risorse umane intervistati ha affermato che i loro sforzi sono concentrati maggiormente nell’incrementare il numero delle donne nei ruoli manageriali.

La situazione deve migliorare e, perché questo succeda, è necessario lavorare su più fronti, che garantiscano una implementazione complessa e sul lungo termine. Il campione intervistato ritiene che il più rilevante sia l’introduzione di modelli di leadership che sensibilizzino sul tema (50%). Non basta attrarre figure professionali talentuose, se poi l’azienda non è in grado di garantire un ambiente di lavoro stimolante e aperto. Per questo molta importanza viene data al training (50%) e alla comunicazione interna (42%). La speranza è anche che, con l’ingresso nel mondo del lavoro delle generazioni più giovani e anche più abituate all’inclusività, vi sia un miglioramento generale della situazione.


* Questo articolo è tratto dallo speciale Diversity, Equity & Inclusion di Business People di giugno 2023, scarica il numero o abbonati qui

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