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Lavoro

Il lavoro del futuro? Il social media recruiter

La rivoluzione digitale sta cambiando anche il ruolo delle Risorse umane, che dovranno tenere il passo per supportare il business delle aziende

Digital marketing manager, social media recruiting specialist, social media manager, technology marketing officer, digital workspace manager e digital learning specialist. Ne avete mai sentito parlare? Sono alcune delle professioni che nel corso dell’anno saranno maggiormente inseriti all’interno delle aziende. È quanto emerge dall’ultimo ricerca effettuata dall’Osservatorio Hr Innovation Practice di Kelly Services Italia, società specializzata nella consulenza per le risorse umane, che evidenzia come il settore sarà sensibilmente trasformato dalla rivoluzione digitale. “Ogni aspetto del nostro lavoro è già fortemente influenzato dai social media, dagli smartphone, dalle piattaforme informatiche, dal Web”, commenta l’a.d. Stefano Giorgetti. “È impossibile pensare di gestire oggi le risorse umane come si faceva fino a 10 anni fa”. Da qui la nascita della figura del social media recruiter: non solo un professionista esperto nella ricerca e selezione del personale, ma una figura specializzata nella ricerca tramite social network.

SCEGLIERE I TALENTI. Secondo Kelly Services è necessario pensare alle gestione delle risorse umane in modo diverso. Uno dei fattori chiave che guida le aziende verso il successo è, infatti, la scelta (e la gestione) dei propri talenti: a testimonianza di questo fatto, basti pensare che il 61% delle aziende intervistate dall’Osservatorio prevede, per il 2016, di dedicare un budget a nuove iniziative digitali nell’ambito delle risorse umane, in particolare nei processi di valutazione delle performance del personale (prevista nel 53% delle aziende), per la formazione dei dipendenti (51%) e per la ricerca e selezione del personale (51%).

NIENTE CARTELLINO, MA RISULTATI. Tra pochi anni il lavoro dipendente sarà sempre più autonomo per quanto riguarda luoghi e tempi, e la tecnologia non fa altro che incentivare e facilitare questo processo. Quello che conterà sarà il risultato e non più la presenza fisica in azienda: un passo culturale molto importante, un concetto che sta faticosamente entrando nella mentalità aziendale e scardinando le più tradizionali abitudini. Questo modo di lavorare porterà, come naturale evoluzione, a una nuova necessità: quella di ripensare gli spazi. Dipendenti e collaboratori non saranno sempre presenti in azienda perché avranno la possibilità di lavorare anche da luoghi diversi dall’ufficio: questo consentirà alle imprese di diminuire la superficie di spazi lavorativi in affitto o di proprietà, con un notevole (e positivo) effetto economico. Questa “rivoluzione degli spazi” creerà però una nuova esigenza: quella di costruire un modello alternativo di “comunità lavorativa”: i team spesso non saranno compresenti in azienda e avranno la necessità di lavorare insieme, condividendo documenti e opinioni tramite mezzi alternativi al “faccia a faccia”. E qui, aggiunge Giorgetti “troviamo nuovamente il ruolo importantissimo di chi gestisce il personale, che dovrà pianificare nuove forme di interazione all’interno dei team di lavoro per fare in modo che il confronto non venga mai a mancare”.

BIG DATA APPLICATI AI DIPENDENTI. Nel settore dei big data, le risorse umane sono generalmente indietro rispetto ad altre realtà. Questo non significa però che non siano potenzialmente interessanti. “Le aziende più grandi raccolgono da sempre grandi quantità di dati sui propri dipendenti (anagrafici, di formazione, di crescita, di capacità…) ma ben poche sanno come utilizzarli. È possibile applicare a queste enormi quantità di dati degli algoritmi che consentono ai manager di sfruttare le informazioni in proprio possesso per assumere, formare, gestire e trattenere i talenti”, assicura l’a.d. di Kely Services Italia. I dati sulle persone che collaborano in azienda possono essere utilizzati in maniera “predittiva”, ad esempio per capire come dovrà essere composta in futuro la propria forza lavoro per non perdere competitività, oppure per individuare le competenze “mancanti” in azienda. Tutte queste informazioni possono facilitare il lavoro di chi si occupa di HR Management e aiutare nella programmazione degli interventi formativi più congeniali, in modo da non trovarsi impreparati di fronte alle necessità future.