Chi l’ha detto che solo i giovani sono inquieti e insoddisfatti? Anche le persone di mezza età spesso lo sono, perlomeno lavorativamente parlando. A dirlo una ricerca realizzata da Valore D, associazione di 190 imprese che promuove l’equilibrio di genere, e dall’Università Cattolica di Milano, attraverso 13 mila interviste a lavoratori di diversa occupazione e provenienza territoriale. Ebbene, meno del 31% dei cinquantenni italiani si sente valorizzato e attivo dal punto di vista professionale. Il 43% si sente in difficoltà, mentre più del 23% addirittura smarrito. La maggioranza dei lavoratori over 50 vorrebbe fare molto di più di quanto l’azienda consenta loro di fare, desidererebbe una maggiore considerazione e ambirebbe a rimettersi in gioco. Questo senso di malcontento è un grosso problema, se si pensa in Italia gli occupati over50 sono più di otto milioni e mezzo, mentre quelli d’età compresa fra i 25 e i 34 anni superano a malapena i quattro. Fra l’altro, non bisogna dimenticare che siamo uno fra i Paesi a più alto tasso d’invecchiamento, per cui in futuro la platea degli ultra cinquantenni sarà sempre più ampia.
Ma quali sono le principali difficoltà che i lavoratori over 50 incontrano in azienda? Innanzitutto, la difficile gestione dei rapporti intergenerazionali e dunque le complicate relazioni con i colleghi più giovani, unita alla sensazione di dare più di quello che si riceve, sia per quanto riguarda i consigli pratici sia per quanto riguarda il supporto emotivo. Non solo. Il 60% (con una netta prevalenza nel sesso femminile) fatica a conciliare lavoro e cura di figli ancora non autonomi e genitori anziani. Infine, c’è la convinzione di essere discriminati in azienda per età e, nel caso delle donne, anche per sesso. Le imprese però sembrano aver colto l’importanza del problema e stanno iniziando a correre ai ripari. “La popolazione over50 è in costante crescita quindi l’Ageing management è diventato un nodo strategico per la gestione del capitale umano, le aziende stanno sperimentando soluzioni diverse, ma non esiste ancora un modello virtuoso definito e testato” ha commentato precisa Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D.
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