Il modo in cui le aziende considerano il lavoro è pronto per una rivoluzione. Un recente articolo di Harvard Business Review invita a ripensare il lavoro come un prodotto da offrire ai dipendenti, in un’ottica simile a quella con cui i consumatori scelgono i beni e i servizi. L’essenza dell’analisi potrebbe essere sintetizzata così: i lavoratori hanno sempre ragione, proprio come i clienti.
Questo approccio emerge in un contesto segnato dal boom delle dimissioni volontarie e dall’insoddisfazione diffusa tra i lavoratori, fenomeni che richiedono un cambio di paradigma per garantire il coinvolgimento e il benessere del personale.
In seguito alle nuove modalità di lavoro diffusesi con la pandemia di Coronavirus, si è registrato un notevole aumento delle dimissioni e al contempo c’è stato un picco di richieste di smart working, spesso male accolte dalle imprese. Non si tratta solo di quanto siano alti i salari, ma anche di work-life balance, dell’inclusione e della sostenibilità, temi sempre più sentiti, specie dai giovani.
I datori di lavoro, quindi, dovrebbero offrire un’esperienza professionale di qualità ai dipendenti: consigli in tal senso arrivano anche dal mondo accademico. Il professore della Columbia Business School Stephan Meier, ad esempio, ha pubblicato il libro The Employee Advantage, il cui sottotitolo è: “In che modo dare priorità ai lavoratori aiuta le aziende a prosperare”. Secondo Meier, i dipendenti non sono sufficientemente presi in considerazione dalle imprese ma questo, a lungo andare, limita la competitività della società stessa sul mercato.
La sua ricerca mostrerebbe che le organizzazioni capaci di dare attenzione ai dipendenti hanno in media rendimenti maggiori e sono più all’avanguardia anche sul fronte dell’innovazione. Sarebbe quindi necessario ripensare l’organizzazione interna in maniera profonda e graduale, con una maggior cura nei confronti dei dipendenti.
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