Fino al prossimo 20 novembre, nella città di Roma, i tranvieri e gli autisti dei bus non faranno neppure un’ora di sciopero. Il merito non è di una ritrovata pace sindacale, ma soltanto del fatto che c’è il Giubileo, in occasione del quale il governo ha vietato per quasi un anno intero, in tutta la Capitale, qualsiasi astensione dal lavoro nel settore dei servizi pubblici essenziali. Bus, tram e metropolitane, dunque, dovranno circolare regolarmente, almeno in teoria. Difficile, però, che nelle altre città italiane avvenga la stessa cosa.
Ogni dodici mesi, infatti, nel settore dei trasporti vengono indetti centinaia e centinaia di scioperi, quasi il 40% delle circa 2 mila astensioni dal lavoro che in Italia si registrano annualmente in tutto il comparto dei servizi pubblici essenziali. A rilevarlo sono i dati contenuti nella consueta relazione annuale che la Cgs, la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sugli scioperi, invia puntualmente al Parlamento. Nel variegato mondo dei servizi pubblici, il settore dei trasporti (ferroviari, aerei e metropolitani) è senza dubbio quello in cui i lavoratori incrociano le braccia più di frequente. Nei prossimi mesi, però, le cose potrebbero cambiare radicalmente. In Parlamento, infatti, si stanno facendo strada da tempo tre diversi progetti di legge che potrebbero confluire in un testo unico e che si pongono tutti lo stesso obiettivo: rendere un po’ più difficili le astensioni dal lavoro nel settore dei servizi. A presentarli sono stati, in forma separata, il noto giuslavorista e senatore del Partito democratico, Pietro Ichino, il suo collega di Ap-Ncd Maurizio Sacconi e il meno noto Aldo Di Biagio, che fa parte dello stesso gruppo parlamentare di Sacconi. Le tre leggi si differenziano per alcuni aspetti. La proposta di Ichino, per esempio, è limitata al solo settore dei trasporti, mentre quella di Sacconi si estende a tutti i servizi pubblici e ha la forma di legge-delega, cioè stabilisce soltanto alcune regole generali e lascia poi grande spazio alla contrattazione tra le parti sociali.
VIETATO ASTENERSIA parte questi dettagli, sia nella proposta di Ichino che in quella di Sacconi c’è una norma che sta già facendo molto discutere. Si tratta della possibilità di indire uno sciopero soltanto quando a proclamarlo sono i sindacati che rappresentano la maggioranza dei dipendenti coinvolti. Se a promuovere l’agitazione è invece una sigla sindacale minoritaria, l’astensione dal lavoro (quando avviene nel settore dei pubblici servizi) potrà svolgersi soltanto dopo aver effettuato un referendum tra tutto il personale interessato in una singola azienda, ma anche in più aziende se si tratta di uno sciopero che coinvolge una determinata categoria professionale o un intero territorio. Dai sindacati, com’era prevedibile, è arrivato subito un fuoco di sbarramento. «Non serve una nuova legge, perché ne abbiamo già una che andrebbe meglio applicata e interpretata», ha detto la leader della Cgil, Susanna Camusso. Con la sua dichiarazione, Camusso si riferiva nello specifico a una norma approvata in Italia oltre 25 anni fa, la legge n. 146 del 1990 (vedi box qui sotto) che fissa dei paletti ben precisi contro gli scioperi selvaggi lesivi dei diritti degli utenti. Nei trasporti, nella sanità, così come in tutti i pubblici servizi, l’agitazione deve essere comunicata dai sindacati almeno dieci giorni prima del suo svolgimento, mentre le aziende coinvolte debbono fornire un’adeguata informazione agli utenti con un preavviso di almeno cinque giorni. Inoltre, particolare non da poco, la legge prevede anche l’istituto della precettazione che permette al governo di ordinare, quando ricorrono ragioni di interesse pubblico, il differimento dello sciopero ad altra data o una riduzione della durata. In alterativa, agli scioperanti può essere imposto l’obbligo di assicurare i servizi minimi.
LA LEGGE N. 146 DEL 1990Nel settore dei servizi pubblici essenziali, una legge approvata oltre 25 anni fa impone di assicurare l’erogazione di prestazioni qualificate come indispensabili, che devono poi essere definite meglio dai contratti collettivi nazionali. Gli stessi contratti collettivi devono stabilire delle procedure di conciliazione, da attivare prima della proclamazione dello sciopero.Per l’agitazione, deve essere dato un preavviso di almeno dieci giorni e devono essere indicate durata, modalità e motivazione. Per gli utenti ci deve essere invece una comunicazione almeno cinque giorni prima. Con la legge del ‘90 è stata poi istituita la precettazione. Si tratta di un’ordinanza con cui il governo impone il differimento dello sciopero ad altra data o ne riduce la durata. In alternativa, può essere imposto l’obbligo di assicurare dei livelli minimi di servizio per non compromettere i diritti del cittadino (per esempio, alla mobilità). |
TUTELARE TUTTIQueste limitazioni hanno una ragion d’essere ben precisa. Se è vero che il diritto di sciopero è tutelato dalla Costituzione italiana (all’articolo 40), non vanno però dimenticate la peculiarità che caratterizzano il settore dei servizi pubblici essenziali. L’improvvisa astensione dal lavoro dei tranvieri o dei medici di un ospedale finisce per ledere ulteriori diritti dei cittadini altrettanto tutelati dalla Costituzione, come quello alla mobilità (articolo 16) o alla salute (articolo 32). È proprio per questa ragione che, contro gli scioperi selvaggi, servono dei paletti ben saldi, fissati appunto nella legge del 1990. E allora, visto che ci sono già delle regole, per quale motivo ne occorrono di nuove? Perché, secondo Sacconi o Ichino (leggi l’intervista), la legge del 1990 non ha funzionato del tutto, almeno in certi settori come i trasporti. Troppe sigle sindacali minoritarie, infatti, hanno la tendenza a incrociare le braccia con frequenza, bloccando così a intervalli regolari interi segmenti dei pubblici servizi e, così facendo, anche aree ed attività economiche del Paese. Ecco dunque spiegato il perché, nei prossimi mesi, potrebbero arrivare nuove regole ben più severe di quelle attualmente in vigore. «Al mio amico Pietro Ichino», dice però Giuliano Cazzola, esperto di problemi del lavoro ed esponente dell’Ncd con un passato da sindacalista in Cgil, «mi sentirei di dare un consiglio, utilizzando la celebre citazione dei Promessi Sposi: “Adelante Pedro, con juicio”». Secondo Cazzola, infatti, le proposte di Ichino sono come al solito interessanti e utili. Tuttavia, su questi temi occorre muoversi con prudenza, proprio come la carrozza del cancelliere Ferrer narrato dal Manzoni.
– LE AGITAZIONI NEL SERVIZIO PUBBLICO
– NO ALLA GUERRA TRA BANDE(intervista a Pietro Ichino)
REGOLE SULLA CARTAA ben guardare, per Cazzola la leader della Cgil non ha tutti i torti: le leggi vigenti consentirebbero già l’applicazione di regole sugli scioperi molto più severe ed efficaci di quelle normalmente utilizzate. Il guaio è che queste stesse regole rimangono spesso sulla carta, mentre certe sigle sindacali non subiscono quasi mai delle sanzioni per aver proclamato scioperi selvaggi. «Di solito», dice ancora Cazzola, «quando ci sono momenti di particolare asprezza sociale e improvvise astensioni dal lavoro nel settore dei locali, volano subito parole grosse». Poi, però, non appena la situazione torna sotto controllo, l’allarme rientra e non si vedono provvedimenti contro questa o quell’organizzazione che non ha rispettato le regole. Secondo l’esponente dell’Ncd, dunque, bisogna cominciare ad applicare le norme che già esistono, compreso il potere di sospendere e rinviare l’astensione dal lavoro se viene indetta in un particolare periodo dell’anno. Inoltre, per Cazzola occorre fare maggiormente uso dello strumento della precettazione, che è un’arma efficace e legittima se viene utilizzata in modo adeguato e tempestivo.
QUESTIONE DI NUMERIA dire il vero, nei mesi scorsi il ministro dei Trasporti in carica, Graziano del Rio, non ha rinunciato a ricorrere alla precettazione ogni volta che lo ha ritenuto necessario. Eppure, anche Del Rio sembra da tempo orientato a fare un passo in più e ad appoggiare le proposte di Ichino e Sacconi. Di conseguenza, il 2016 potrebbe essere davvero un anno di grandi cambiamenti per le normative sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. Resta da capire se tutta la maggioranza che sostiene il governo sarà pronta ad accogliere a braccia aperte questi disegni di legge. Non mancano voci non del tutto allineate come quella di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera ed esponente della minoranza del Partito democratico, che fa opposizione interna al segretario Matteo Renzi. Per Damiano, è vero che ci sono fenomeni patologici di ricorso eccessivo allo sciopero da parte di alcune sigle sindacali minoritarie. Tuttavia, al pari di Cazzola, pure il deputato del Pd ritiene che ci siano già delle regole molto valide e condivisibili da applicare bene.Non c’è dunque alcuna fretta di rimettere mano alla disciplina delle proteste, senza aver prima affrontato altre questioni importanti come quella della rappresentanza sindacale. Su questa materia, infatti, Damiano è autore di una proposta di legge che, in sostanza, dà applicazione ai contenuti di un accordo sottoscritto negli anni scorsi da Confindustria e dai leader di Cgil, Cisl e Uil. «L’obiettivo della legge è stabilire con maggiore chiarezza quali sono le organizzazioni sindacali legittimate a firmare un contratto collettivo di lavoro», dice il deputato Pd, che aggiunge: «Una volta completato questo passaggio, si può pensare anche a definire meglio quali sigle possono proclamare uno sciopero nel settore dei servizi pubblici». Damiano non è contrario a priori all’idea di un referendum tra tutti i lavoratori interessati, come proposto da Ichino e come avviene già in Germania. «Tuttavia», sostiene, «il raggiungimento di un quorum del 50% mi sembra un requisito eccessivamente stringente, che rischierebbe di ostacolare troppo spesso l’esercizio del diritto di sciopero». Meglio dunque discutere su percentuali più basse, per esempio attorno al 30-40%. Il tempo dirà quale posizione finirà per prevalere, se quella di Pietro Ichino o del suo collega di partito, Cesare Damiano.
LO SCIOPERO VIRTUALE |
Fare sciopero, andando ugualmente al lavoro. Funziona così una forma di protesta sindacale prevista dalla proposta di legge presentata in Parlamento dal senatore Ap-Ncd ed ex ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Si chiama sciopero virtuale e ha lo scopo di evitare disagi agli utenti dei servizi pubblici come i passeggeri di bus e tram. In pratica, chi fa uno sciopero virtuale presta ugualmente servizio ma non riceve lo stipendio. Nello stesso tempo, il datore di lavoro contro cui si indirizza la protesta è obbligato a versare in un apposito fondo una somma di denaro, corrispondente ad almeno due o tre giorni di stipendio dei dipendenti che sono in sciopero virtuale. Grazie a questo meccanismo, l’azienda subisce comunque un danno economico, perché deve sborsare una cifra superiore alla normale paga quotidiana dei lavoratori. Nello stesso tempo, come in qualsiasi normale sciopero, pure i dipendenti vengono danneggiati economicamente, perché perdono un giorno di stipendio. Si crea così un deterrente contro un utilizzo troppo disinvolto delle astensioni dal lavoro, senza appunto provocare disagi ai cittadini visto che, con lo sciopero virtuale, i bus, i tram o gli ospedali funzionano lo stesso. |