Anzianocrazia

La dittatura di chi non vuole mollare mai. Come il principio in base al quale “chi ha esperienza deve comandare” ha creato un vero e proprio solco generazionale

Diciamo la verità: chi, dopo una vita passata a rincorrere il posto che ha sempre sognato, sarebbe disposto a cederlo solo perché uno più giovane di lui si dimostra più bravo? Non è una ragione sufficiente. Soprattutto in Italia, Paese gerontocratico per eccellenza, non solo per l’età media di chi occupa i posti di comando, ma anche perché, facendo pochi figli, si abbassa la possibilità statistica che i giovani emergano, visto che sono meno numerosi degli anziani. Il principio in base al quale chi ha esperienza dovrebbe comandare è ineccepibile, almeno formalmente, ma la sua traduzione pratica consiste nella fossilizzazione di una casta di persone anziane che, passata l’esperienza, si reggono sull’inamovibilità fatta a sistema. L’effetto è di aver creato un solco generazionale: chi sta di qua viene tutelato, difeso e ha il privilegio del potere, chi sta di là, nonostante l’energia e la competenza, viene scoraggiato, vede allontanare da sé obiettivi professionali e gratificazione economica.INVERSIONE?Nell’ultimo decennio sembrava che finalmente il vento avesse cambiato direzione. Sulla scena politica ed economica italiana hanno cominciato ad apparire enfant prodige del calibro di Matteo Arpe, il banchiere che a soli 43 anni è andato a sedersi sulla poltrona più importante di Capitalia, il coetaneo Andrea Bonomi capo di uno dei maggiori fondi di investimento italiani (Investindustrial) e il ministro Giorgia Meloni (31 anni) alla quale il Capo del Governo ha affidato la gestione delle politiche giovanili. Si potrebbe anche essere ottimisti leggendo la ricerca di Andrea Prat e Raffaella Sadun, due studiosi della London school of Economics secondo la quale fino al 2006 era in crescita la classe dei cosiddetti “middle manager”, quei dirigenti che stando alle classifiche internazionali sono indicati come i responsabili di stabilimento o di linee di produzione. Secondo Prat e Sadun gli italiani che ricoprivano questi ruoli avevano un’età media di 41 anni, più bassa rispetto ai colleghi francesi (44 anni), inglesi (43) e americani (44). Ma che qualcosa stia cambiando è solo una bella speranza. A ben vedere il giovane Arpe è uscito sconfitto dalla guerra con il presidente di Capitalia (oggi capo di Mediobanca) Cesare Geronzi, il ministro Meloni ha un’ottima immagine, ma il suo potere, direttamente proporzionale alla capacità di spesa, è tutto da dimostrare. E quando si è trattato di trovare un’alternativa al “giovane” Riccardo Villari (52 anni) alla Commissione di Vigilanza Rai la politica non ha trovato di meglio che puntare sul nome di Sergio Zavoli, un attempato esperto dei media ottantacinquenne.Anche sulla scena internazionale i segnali non sono incoraggianti: Gordon Brown, l’attuale Primo Ministro del governo di Sua Maestà, quest’anno ha soffiato 57 candeline, tredici in più rispetto agli anni di Tony Blair dopo dodici mesi dalla nomina. La vittoria di Barack Obama, con i suoi 47 anni, sta abbassando l’età media dei tavoli dove si decidono le sorti del pianeta. Solo che anche lui, quando si è trattato di individuare il capo dei suoi esperti economici non ha trovato di meglio che nominare un venerando ottantacinquenne, Paul Volker, ex capo della Federal Reserve. I giornali hanno riso sotto i baffi quando, non si sa se ironicamente, Obama ha motivato la sua scelta con questa frase: “Ci darà idee fresche”. Una svista? Facciamo finta di sì, ma non può essere un caso che nel 2008 in Italia è uscito di scena un Presidente del Consiglio di quasi 70 anni e ne è subentrato uno di 72. E nemmeno che qualche anno fa Carlo Azeglio Ciampi ha chiuso il suo mandato al Colle a 86 anni e Giorgio Napolitano ha cominciato il proprio a 81.LA PAROLA ALLA LEGGEA frenare il ringiovanimento delle élite italiane sono anche le regole, fatte da anziani. Un esempio è la sentenza della Corte Costituzionale che il 20 giugno del 2007 ha cancellato la legge che fissava in sessantasei anni il limite massimo di età per i magistrati che volevano partecipare a concorsi per dirigere gli uffici giudiziari di merito (il limite era di sessantotto anni per gli uffici direttivi presso la Corte di Cassazione). I giudici della Consulta hanno considerato il limite di età imposto dalla legge un vincolo superato. Il legislatore infatti con la legge voleva garantire al comando di un ufficio giudiziario un magistrato per almeno quattro anni. Il periodo però era stato calcolato sulla base dell’età ordinaria del pensionamento, fissata a 70 anni. Un secondo articolo, approvato dalla precedente maggioranza parlamentare, aveva già previsto per i magistrati a capo degli uffici giudiziari la possibilità di posticipare il pensionamento fino a 75 anni. Le cose non migliorano in ambito accademico. Secondo uno studio di Alessandro Rosina e Paolo Balduzzi, rispettivamente professore di demografia e ricercatore in scienze delle finanze del Sacro Cuore di Milano, in Italia la popolazione accademica è la più anziana del mondo industrializzato. Nell’anno accademico 2006-2007, i docenti over 60 hanno pesato per il 24% del totale (il 46,5% dei professori ordinari e il 22,3% di quelli associati), contro l’11% di Francia e Spagna e l’8% del Regno Unito. Gli under 40 erano l’11%, contro il 29% della Francia, il 22% della Spagna, il 30% del Regno Unito. L’età media dei ricercatori era di 45 anni, mentre quella dei docenti (ricercatori, professori associati e professori ordinari) era di 52 anni. Nel 2001, tale età media era di 41 anni in Spagna, di 42 in Gran Bretagna e di 48 anni in Francia. Infine si scopre che i professori ordinari che avevano meno di trentacinque anni nel 2006/2007 sono stati appena lo 0,1% del totale. A questo scenario già poco esaltante va aggiunto che il Belpaese sta soffrendo di un generale “degiovanimento”, cioè della perdita del potere dei giovani. Se si confronta l’Italia con la Francia, due Paesi simili per aspettativa di vita e numero di abitanti, emerge una forte differenza nel numero degli under 25: da noi sono quattro milioni in meno rispetto a quanti ce ne sono in Francia. Questo perché negli ultimi venticinque anni la fecondità francese si è mantenuta su valori appena inferiori ai due figli per donna (la media italiana, seppure in lieve ascesa, è di 1,29 figli a donna), mentre i dati sulla longevità italiana assieme a quelli giapponesi battono tutti i record mondiali.Rosina aggiunge che gli under 25 sono scesi sotto quota 25% sul totale della popolazione, un dato che sta rendendo i giovani italiani quelli con minore peso numerico di tutta Europa. A queste condizioni, ammonisce l’esperto, oltre al degiovanimento demografico si rischia anche una perdita di peso e di importanza sociale delle nuove generazioni, che oltre a essere schiacciate tra il precariato e la crisi economica, come visto, vantano pochi rappresentanti tra i dirigenti.GLI EMERGENTIPer fortuna a salvare la media ci sono le imprese. Oltre ai middle manager, non mancano gli amministratori delegati under 50. Riccardo Braccialini, 48 anni, presidente dell’omonima azienda di pelletteria del gruppo Burani; Alberto Bertone, 42 anni, l’ideatore delle bottiglie di plastica biodegradabili e amministratore delegato di Fonti di Vinadio Spa, la società dell’acqua Sant’Anna; Gianguido Tarabili, 39 anni, numero uno di Blufin la società dei marchi Bluemarine e Blugirl, e Marcello Binda, 48 anni, il re degli orologi a capo del marchio Breil sono solo alcuni esempi di come nel mondo dell’impresa i giovani hanno ancora qualche possibilità di farsi largo. Binda come Bauli, come Mariella Burani, come Fiat e Ferragamo hanno, però, una caratteristica che li accomuna: sono tutti giovani che si sono fatti strada in aziende familiari. È in questo tipo di aziende che è più facile trovare un giovane con responsabilità operative. Oltre che nelle imprese familiari i giovani possono trovare più facilmente il proprio spazio vitale in imprese nuove. Gianfranco Deganello 49 anni, da un’idea ha costruito un’impresa di successo; sei anni fa, in provincia di Vicenza, ha dato vita a una squadra di ingegneri idraulici, architetti e designer, chiamata Delta engineering, che oggi realizza fontane “d’autore” per i governi, multinazionali o paperoni di tutto il mondo, disposti a spendere somme considerevoli per rifare il look dei propri edifici, concedendosi il vezzo di una fontana realizzata con materiali di pregio, dagli innovativi giochi d’acqua e luce. Magari tutta computerizzata. I giovani “6267”, alias Tommaso Aquilano e Roberto Rimondi sono indicati come gli astri nascenti della moda italiana. Hanno rispettivamente 38 e 39 anni e sono la dimostrazione che se un giovane vuole fare strada deve fare da solo. Prima che una sentenza della Corte Costituzionale li obblighi a diventare vecchi per poter diventare qualcuno.

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