I consumatori? Non sono più quelli di una volta

Ora che – volenti o nolenti – le scelte d’acquisto stanno inesorabilmente cambiando, cosa resta da fare alle imprese per non rimanere al palo? Quale il grado di innovazione da ricercare e in che direzione? Tutti quesiti a cui urge dare una risposta

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Una volta eravamo solo cittadini. Poi è arrivata l’era degli acquisti, la disponibilità economica alla portata di tutti – fosse anche sottobanco grazie a mutui che ci facessero sentire uguali agli altri, “ricchi” come gli altri – e con lei ci hanno travolti gli anni 80 con la loro irresistibile edonistica arroganza. E siamo diventati consumatori: prima agli occhi della pubblicità e, solo dopo, ai nostri stessi occhi. «Se ai tempi di Feuerbach l’uomo era ciò che mangiava, ai tempi di Bauman siamo quello che consumiamo, ovvero ciò che acquistiamo, usiamo e buttiamo via». Mi è rimasta impressa questa frase che mi disse un economista prima della pandemia.

Il vangelo dei beni non essenziali

Proprio i consumatori sono il cuore di un recente sondaggio mondiale, promosso da PwC, il Global Consumer Insights Pulse Survey: ben 25 Paesi coinvolti e oltre 9 mila intervistati, 9.180, per l’esattezza. Il quadro che ne esce conferma suggestioni e vita reale: i consumatori hanno deciso di rinunciare a tutto ciò che non rientra nell’essenziale, la percentuale che li riguarda arriva al 15%; il 53% ha deciso di rimandare per adesso quel genere di acquisti. Non è l’unico dato sintomatico di una sfiducia generalizzata: fa il paio, infatti, con il 49% delle risposte che dichiarano ormai di comprare solo quando i prodotti sono in offerta; sulla stessa lunghezza d’onda del risparmio, anche il 34% di chi ha dichiarato di acquistare in stock per abbattere ancora di più il prezzo e il 32% di chi ha virato ormai verso i monomarca del rivenditore.

I sondaggi, lo sappiamo, vanno letti e presi con le pinze, e non tanto perché spesso peccano di rappresentatività – la vera colonna portante che li rende attendibili o meno –, quanto per i contesti socioeconomici e culturali da cui si generano. Dire Italia e dire consumatori vuol dire circostanziare i dati in modo più preciso rispetto a un sondaggio internazionale che li accorpa in 25 Stati. Stesso discorso per la parte generazionale ampiamente toccata dal sondaggio: un conto è parlarne dentro una cultura italiana, altra cosa è riferirla a Paesi non europei o comunque distanti, anche solo metaforicamente, da noi.

Sta di fatto che, sul piano demografico, la generazione più preoccupata davanti ai consumi sembra essere la X col 47%, seguito dal 33% dei Baby Boomer che hanno aderito alla formula “preoccupati in una certa misura”; i Millennial svettano sulla classifica della preoccupazione, ma senza la minima intenzione di cambiare comportamenti d’acquisto. Fa molto riflettere e la tendenza appare credibile a guardare i più giovani. Altri flash dal sondaggio: gli acquisiti in negozio restano invariati come mezzo di consumo più comune (43%), affiancati da abitudini in calo per ciò che riguarda gli acquisti da tablet, computer, smartphone.

I prodotti sostenibili ed etici attirano di più. A pagare il prezzo più alto del crollo dei consumi sono i settori che ci rendono migliore la vita quando la vita è però già migliore di suo, cioè quando abbiamo soldi: prodotti di alta gamma, lusso, moda, viaggi. Il problema sono da un lato i salari fermi e bassi da trent’anni in Italia, dall’altro e i rincari strumentalizzati da guerra e pandemia, che ci hanno resi quello che siamo: spaventati e inermi. Segna l’unica forte controtendenza il settore alimentare, che ha registrato il tasso più basso di riduzione degli acquisti.

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A consumare sono anche le imprese

Proprio perché ci piace ricalare i numeri nella realtà, abbiamo raggiunto Carlo Biasior, direttore del Centro tutela consumatori e utenti (Ctcu), docente di Diritto comparato e avvocato. Lavora da 25 anni a contatto con le dinamiche dei consumatori: li ha imparati a conoscere quando le norme italiane non li avevano ancora considerati tali, e quindi non ancora tutelati. Si batte da tempo anche in materia antitrust e per riconoscere una responsabilità penale in capo agli a.d. delle aziende che violano il campo del consumo.

Il Ctcu ha una natura insolita e con alti tassi di efficienza: lavora come se erogasse un servizio pubblico essenziale, alla stregua di un’associazione di consumatori, ma lo fa gratuitamente e senza richiedere tessere o quote associative. L’aspetto che s’intona al meglio i tempi è che ad esso si rivolgono anche manager, liberi professionisti, imprese, professori universitari: non più, quindi, soltanto il cittadino-consumatore annidato nel classico immaginario. «Oggi anche la tutela dei consumatori è misurata tramite tassi di performance. Noi come Ctcu riceviamo ogni anno 400 mila euro di denaro pubblico, ma ne restituiamo 1 milione, concretamente, tra risparmi, rimborsi, risarcimenti», sottolinea.

Il polso del presente ci arriva anche da lui, con fiducia. «Confermo che gli acquisti, e i consumatori, sono in una fase ancora congelata, sospesa, soprattutto condizionati dai rincari energetici che hanno messo a terra le famiglie e i cittadini. C’è però una luce in fondo al tunnel, per lo meno lo riscontriamo dai dati nazionali che ci arrivano, e sono monitoraggi trimestrali. Parlare oggi di consumi, al di là delle crisi in termini di spesa, dovrebbe però coinvolgerci in modo più maturo per capire di chi parliamo quando parliamo di consumatori o di prassi commerciali: ora anche per le microimprese, ad esempio, si applica il Codice del consumo».

La svolta del Codice del consumo

È il 2005 l’anno di svolta in Italia, quando viene appunto introdotta la pietra miliare: il Codice del Consumo – integrato e arricchito negli anni a seguire – che finalmente dava dignità agli acquisti e alla loro garanzia: fino a quel momento la disciplina dei rapporti di consumo era rimessa alla legislazione di settore che, un po’ alla volta, era stata recepita in modo scomposto, soprattutto tramite direttive comunitarie.

Il Codice iniziò a dire chiaro e tondo che il consumatore era un soggetto definito, assumendo come filo conduttore tutte le fasi del rapporto di consumo: dalla pubblicità alla corretta informazione, dal contratto alla sicurezza dei prodotti, dall’accesso alla giustizia alle associazioni rappresentative di consumatori. Fino alle class action, le azioni di classe che per anni avevamo invidiato alla cultura giuridica anglosassone e americana, quella procedura davanti al tribunale per ottenere un risarcimento del danno in capo a ciascun componente del gruppo di consumatori danneggiati dal medesimo fatto. «Sulle azioni di classe abbiamo fatto passi da gigante in Italia», osserva Biasior.

«Finalmente non sono più esclusiva dei consumatori ma allargate a tutti, quindi anche alle imprese o agli imprenditori che sono stati violati nei loro diritti. Oltre al fatto che sono stati introdotti compensi premiali per gli avvocati. Al momento c’è un modello nazionale molto utilizzato per le azioni di classe, ma siamo in attesa di quello Ue, che sarà però limitato ai soli cittadini, non al mondo aziendale». Fine del concetto retrogrado e limitante del consumatore, fine dei populismi contro una categoria che era sempre stata considerata cavillosa sulle inezie del quotidiano.

Un altro cambiamento significativo in materia di consumi riguarda non tanto le voci 2023 del paniere Istat – stavolta sono entrate le visite mediche sportive dei liberi professionisti, la riparazione degli smartphone e le apparecchiature audio intelligenti, ma dal paniere non è uscito nessun prodotto – quanto l’introduzione di pesi diversi nei coefficienti di ponderazione che vanno a incidere sull’inflazione. Ecco i pesi in aumento per le famiglie: “Servizi ricettivi e di ristorazione”, “Abitazione, acqua, elettricità e combustibili, “Ricreazione, spettacoli e cultura”. Calano invece: “Prodotti alimentari e bevande analcoliche” e “Servizi sanitari e spese per la salute”. Da Pwc all’Istat, passando per il Ctcu, un messaggio è concorde: le analisi di consumo si sono fatte sempre più specifiche, i consumatori hanno cambiato pelle.


Questo articolo è tratto da Business People di maggio 2023, scarica il numero o abbonati qui

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