Connettiti con noi

Lavoro

Welfare aziendale: il segreto per avere dipendenti più felici e motivati

Pratica molto diffusa nel mondo anglosassone, in Germania e nel Nord Europa, sta prendendo piede anche in Italia per una ragione piuttosto semplice…

Corsi di lingue, abbonamenti ai mezzi, visite mediche rimborsate, asili aziendali. Anche da noi si sta diffondendo una nuova cultura del lavoro, per la quale il benessere del dipendente è un bene sul quale l’azienda deve investire. La definizione innanzitutto. Con l’espressione welfare aziendale ci si riferisce a una serie di servizi e benefit non monetari che un’azienda può mettere in campo a favore dei propri dipendenti per contribuire al benessere psicofisico, e quindi alla soddisfazione, di questi ultimi.

Cos’è il welfare aziendale e chi avvantaggia

Si tratta di una pratica molto diffusa nel mondo anglosassone ma anche in Germania e nel Nord Europa. Da noi sta cominciando a prendere piede sempre di più, per una ragione piuttosto semplice. Dietro quella che sembra una politica aziendale dettata da una commovente filantropia, c’è soprattutto una logica economica piuttosto ferrea. Per avere una forza lavoro motivata, soddisfatta e committed (devota, fedele all’azienda), non è necessario gonfiare le buste paga fino al punto di mettere a repentaglio la sopravvivenza della stessa azienda. Si possono investire meno risorse ma in maniera più intelligente e soprattutto più utile per lo stesso dipendente.

Per soddisfare i dipendenti non esiste un solo benefit

Non esiste una formula di welfare aziendale sola, ne esistono molte, a seconda del profilo della società e della sua forza lavoro. Realtà diverse sceglieranno strade diverse. Alcune ricette, però, sono adottate molto frequentemente. Gli asili aziendali, per esempio, consentono ai genitori di non perdere tempo per lasciare i pargoli prima di andare al lavoro. Un solo viaggio, e il problema è risolto. Inoltre, è verosimile che quello interno alla propria azienda costi molto meno di un asilo normale. Un aumento in busta paga farebbe molto contenti mamma e papà ma sarebbe eroso in parte dall’imposizione fiscale e comunque non semplificherebbe la vita allo stesso modo.

Esempi di welfare aziendale

Sono tanti i modi in cui una ditta può andare incontro alle necessità dei propri dipendenti. Ci sono gruppi, come il colosso della chimica Basg, che prevede buoni studio per l’acquisto dei testi scolastici dei figli dei propri lavoratori. Altrove, come da Luxottica, vengono distribuiti prodotti alimentari. Ma non c’è bisogno di scomodare gruppi di queste dimensioni. La cultura del welfare aziendale si sta diffondendo in maniera uniforme. Nel 2013, per esempio, la OM Still, azienda metalmeccanica lombarda specializzata nella produzione di carrelli elevatori, ha firmato un contratto in cui si impegnava a garantire a ognuno dei suoi 130 lavoratori, “1000 euro spendibili in servizi di welfare estesi in tutti i campi previsti sia dall’articolo 51 che dall’articolo 100 del Tuir”: diritto allo studio del figlio, centri estivi per i figli, card prepagate, operatori socio-assistenziali, sport e divertimento, formazione del dipendente e viaggi.

La razionalità economica del welfare aziendale

Il Tuir citato è il Testo unico sulle imposte e sui redditi che, insieme all’articolo 1 della Legge di Stabilità 2016, è ciò che sta sostenendo la diffusione di questa forma di assistenza a beneficio del lavoratore. Il pagamento di un corso di inglese, un abbonamento ai mezzi o il rimborso di una visita medica o di impianto dentale sono tutte forme di welfare che rendono molto più di quel che costano.

Un po’ perché un’azienda che acquista un servizio per 50, 100, 1000 persone ha una leva che il l’acquirente singolo non ha e quindi può pagare molto meno, un po’ perché ci sono cose, come la serenità, che non si possono comprare, come spiega l’esempio dell’asilo aziendale. Togliere una preoccupazione a un proprio impiegato vale molto di più del servizio che gli si garantisce, e soprattutto rende di più.

Secondo Il Sole 24 Ore, un aumento in busta paga di 100 euro si tradurrebbe, per il dipendente, in un aumento di 50 euro. Ma quegli stessi 100 euro, se investiti nel welfare, in un buon welfare, possono valere anche 120 euro.