Vino: la seconda giovinezza dell’Alsazia

Alla scoperta di una regione storica dove il mondo vinicolo sta vivendo una rivoluzione, passando da una gamma di vini parietali a una di vini territoriali

In termini di sensazioni gustative e tattili e relativamente alla capacità di rendere chiaro il concetto sfuggente di “minerale”, non ci sono molte regioni nel mondo vinicolo che riescano ad affascinare come l’Alsazia, giocatrice di un campionato molto ristretto che vede in pratica solo Borgogna e Champagne al suo livello. In questa terra, da sempre contesa tra Francia e Germania, è in atto da pochi anni una rivoluzione che sta portando da una gamma di vini parietali (con il nome del vitigno ben impresso in etichetta) a una di vini territoriali, ovvero venduti con il nome del terroir e vigneto di provenienza. Il che significa che non leggeremo più Gewürztraminer, Riesling, Pinot grigio, Muscat, Pinot noir e Pinot bianco, ma Bergheim, Burg, Engelgarten, Rotenberg: vigneti che raccontano storie e sapori in base alla geologia, al microclima e all’esposizione, e che sempre meno sono caratterizzati dal vitigno coltivato.

Vini dell’Alsazia da provare

Impossibile descrivere qui tutti i cru che valgono almeno un assaggio, ma di certo non si può prescindere dai vini della famiglia Hugel e il loro Schoelhammer Riesling 2007 cru Schoenenbourg, la scommessa più coraggiosa della famiglia che estrae 30 filari (poco più di 4 mila bottiglie) dal grand cru più famoso dove lavora per ottenere questa selezione impressionante per ricchezza equilibrio e lunghezza al palato. Note sassose e di pioggia sono solo l’inizio di un percorso nella storia per una bottiglia che passa in rassegna ogni spettro aromatico del vino bianco.

La famiglia Zind-Humbrecht ha sede a Turckheim dal 1959, al centro dell’Alsazia, e segue da sempre uno stile personale e tradizionale con malolattica svolta per avere più potenza e spessore in un vino tipicamente da tavola come il Riesling nel grand cru Brand. In casa Deiss, invece, è esemplare il Mambourg Grand Cru, un vino per il quale nei secoli anche i vescovi perdevano il senno. Dalla bocca oleosa e densa, è anche balsamico, secco e sapido, ferroso e acceso: un ossimoro gustativo che crea una lunghezza impressionante, stride quasi sui denti, ma regala anche attimi di serenità e semplice piacevolezza. Dagli Schlumberger campeggia poi il grand cru Kessler, naturale estensione del Kitterlè, tipico per il Gewürztraminer, il vino per eccellenza per il formaggio Munster. Prodotto almeno dal 1394 in queste colline, ha naso tropicale e cangiante, bocca di mele, rose e un finale di roccia mista a note affumicate da brividi.

Anche aziende meno blasonate, ma comunque storiche, sono in grado di realizzare piccoli capolavori, come dimostra Josmeyer con il suo Riesling Les Pierrets dai vigneti Wintzenheim, Turckheim and Wettolsheim con viti di circa 35 anni di età. Altro grande Gewürztraminer è quello di Martin Schaetzel, paladino del biologico e biodinamico, attivo dal 1930 il cui Grand Cru Kaefferkopf Cuvèe Catherine è un vino che rifugge la troppa dolcezza per regalare sussulti freschi impressionanti. Domaine Weinbach da Kaysersberg ha una gamma completa e si distingue come altri grandi per i suoi Sgn (Sélection de Grains Nobles), ovvero vini dolci, spesso dolcissimi, ma dalla consistenza e concentrazione di sapore magica. Citiamo la Cuvée d’Or Altenbourg da uve Pinot gris, un vero sultano dai rimandi canditi, esotici e speziati, che trasformano il vostro palato in una festa di dolcezza sublime senza, incredibilmente, annoiare. I vini alsaziani del resto sono proprio questo: nettari entusiasmanti e unici che mostrano al mondo che si potrebbe vivere anche senza i rossi, a patto di avere a disposizione grand cru come loro.

Articolo pubblicato su Business People agosto 2017

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