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Motori

Harley Davidson: born to be wild

Nata (neanche a dirlo!) in un garage per la geniale intuizione di due ragazzi, la Harley Davidson è riuscita a incarnare un rombante simbolo di libertà. Una leggenda che – a 120 anni suonati – non accenna a perdere gas…

Harley Davidson-2023-Anniversary-Collection La gamma di nuovi modelli presentati da Harley Davidson per il 2023

La moto? Roba da ragazzi. E infat­ti due di loro poco più che adole­scenti, con l’idea di realizzare una bici che “pedalasse da sola”, die­dero vita al culto laico più seguito al mondo, che oggi vanta 12 milio­ni di follower su Facebook, 5,5 su Instagram (nu­meri che considerando il generation gap sono an­cora più eclatanti). Stile inconfondibile, design iconico, e un senso di community super esclusivo, oltre all’endorsement più o meno esplicito di vip e personaggi famosi della musica e del cinema hanno contribuito a creare intorno alle moto Har­ley Davidson un’aura mitologica intramontabile. Oggi il brand festeggia i 120 anni dalla fondazio­ne, ed è più rombante che mai.

La storia di Harley Davidson: i primi passi

Harley Davidson è, insieme a Indiana, il più an­tico marchio di motociclette americano. Vide la luce in un garage di Milwaukee (Wisconsin), per opera di due giovani creativi, William Har­ley e Arthur Davidson, che pensarono di instal­lare un motore su un telaio da bici. Quella che oggi si chiamerebbe semplicemente e-bike, dopo il primo tentativo fallito del 1901 (si fermava miseramente nelle salite), cambiò completamente il mondo del trasporto a due ruote. Era il 28 ago­sto del 1903.

In effetti i primi prototipi nulla avevano a che spartire con le Harley Davidson così come ce le ha sdoganate la road culture americana dagli anni Cinquanta in poi. I primi modelli erano davve­ro poco più che biciclette a motore. Ma che fosse qualcosa di straordinariamente interessante, lo dimostra anche il coinvolgimento – proprio nel­la prima vera Harley Davidson – di un altro gran­de nome della motoristica mondiale, Ole Evinru­de, colui cioè che avrebbe inventato di lì a qualche anno il motore fuoribordo per la nautica (e tutti sappiamo come è andata a finire).

Il lancio sul mercato non fu esattamente un boom, il primo anno la casa si fermò a quota tre esemplari, ma nel 1906 – con la costruzione di uno stabilimento vero dove prima c’era il garage – arrivano le prime cinquanta moto, che diventa­no 150 nel 1907: quello fu l’anno della prima svol­ta. La produzione in serie era una realtà, venne creata la Harley Davidson Motor Company, e il corpo di polizia di Milwaukee la scelse per le moto da dare in dotazione agli agenti su strada. Il lancio del caratteristico e innovativo motore a V, nel 1909, che riusciva ad aumentare potenza e resa su strada non passò inosservato. L’accento sull’American made fu un’ulteriore spinta, una leva importante sull’orgoglio nazionale quando il nemico era al di là dell’oceano.

La seconda avvenne, non a caso, con la I Guerra mondiale. Nel 1917 la Harley Davidson Motor Company era già diventata il primo produttore a livello nazionale, ma con l’inizio del conflitto, viste le ottime prestazioni che le moto avevano avuto nelle gare motociclistiche, ma soprattutto negli scontri con i ribelli di Pancho Villa in Messico, si aggiudicò anche la commessa dell’esercito americano, che ne acquistò per 145 mila esemplari. Con la fine della guerra, e successivamente la crisi economica del ’29 che aveva portato al fallimento di molte case più piccole, le Harley Davidson non avevano praticamente più rivali, se non per l’antagonista di sempre, Indiana, con i suoi bolidi carenati e scenografici.

La II Guerra mondiale, poco dopo, consacra Harley Davidson nell’immaginario d’Oltreoceano, poiché le moto acquistate dall’esercito americano iniziavano a circolare anche in Europa dopo lo sbarco alleato, divenendo parte attiva dell’aura eroica del liberatore.

Il connubio con lo star system

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, dopo un periodo buio che culminò nel 1969 con la vendita del marchio (che divenne AMF Harley Davidson) lo star system americano, allora in pieno boom, fu determinante. Nel 1953 il caratteristico rombo del motore delle Harley preannunciava l’arrivo sullo schermo di Marlon Brando ne Il Selvaggio di László Benedek. Elvis Presley si faceva immortalare a cavallo dei molti modelli che possedeva. Ma fu Dennis Hopper che consacrò definitivamente le Harley Davidson come simbolo di libertà e trasgressione, indipendenza e ribellione al modello sociale borghese sempre più dominante. In Easy Rider (1969) dirige Peter Fonda in sella a un modello che ha fatto storia, l’iconico chopper dipinto a stelle e strisce, e per questo noto come Captain America. Il design dal fascino retrò, le cromature, il sellino basso, l’impostazione seduta invece che china sul serbatoio; ma soprattutto l’ideale, la suggestione di paesaggi sconfinati da assaporare con il vento sul viso, sfrecciando lungo strade che puntano verso un futuro da costruire, dove tutto è possibile per chi osa.

Dalla strada alla leggenda  

Sono i valori, tuttavia, che distinguono i biker Harley Davidson da tutti gli altri appassionati di motociclismo. Negli anni il brand ha favorito un fortissimo senso di community tra i suoi. Le moto sono state da subito oggetto di customizzazione, stimolando lo sviluppo di soluzioni creative e forme d’espressione personalissime, e in questo la presenza massiccia del brand nello star system ha aiutato con testimonial spontanei quali Jay Leno, Arnold Schwarzenegger o Neil Young. Anche pubblicità e marketing hanno rinforzato la reputazione e il concept “Harley Davidson”: la scelta di una vita presa di petto, vissuta intensamente, senza costrizioni. Non per niente la community ufficiale dei suoi biker più ortodossi passa sotto il nome di The Hog, che è un acronimo (Harley Owners Group), ma significa anche “porco” nello slang americano.

Proprio The Hog è stato protagonista di una celebre campagna nel 1983 che parlava ai potenziali clienti Harley Davidson facendo leva sul senso di comunità che unisce tutti gli harleisti: We are family era il claim, e ha contribuito a rendere The Hog uno dei più corposi club sponsorizzati del mondo (oggi conta diversi milioni di iscritti). Verso la fine degli anni Novanta, nasce però l’esigenza di parlare a un pubblico più giovane. Lo slogan American by birth, Rebel by Choice puntava sul desiderio di emancipazione dei giovani tanto quanto il bisogno di affermazione personale. L’idea di qualcosa di leggendario associato alle moto Harley Davidson apparve ufficialmente nel nuovo millennio, con le campagne Live your legend e Find your freedom, che invitava un pubblico giovane a vivere la miglior vita possibile, naturalmente in sella a una Harley.

Nel 2020 con The Sound of Freedom finalmente è protagonista il tratto forse più distintivo delle Harley, il caratteristico rumore del motore (“po-ta-to-po-ta-to”, come viene definito), riconoscibile da lontano anche dai profani delle due ruote, tanto che già nel 2000 la casa di Milwaukee inoltrò regolare richiesta per brevettarne il suono. Non tutte le iniziative però andarono come previsto, e fu abbastanza clamoroso il flop di Harley Davidson and the Marlboro Man, film del 1991 con Mickey Rourke e Don Johnson, esperimento non troppo riuscito la cui produzione è costata 23 milioni di dollari, e uscito dalle sale cinematografiche con incassi per soli 7 milioni.