L’orto in tavola

Lo chef del ristorante milanese Erba Brusca, Alice Delcourt, racconta la sua esperienza che va oltre il chilometro zero

Ci sono tanti modi per apprendere il gusto della stagionalità, per imparare a esaltare la freschezza dell’ingrediente e affermare nei piccoli gesti quotidiani la sostenibilità delle proprie scelte in cucina, ma anche nella vita. Uno di questi è quello personalissimo e coinvolgente di Alice Delcourt, che ha trovato in Italia il suo destino, grazie a un Erasmus a Firenze collegato ai suoi studi in Scienze politiche, per poi approdare a Milano, meta (per ora) finale di un percorso di vita e professionale ricco e variegato. Il mappamondo la vede nascere in Francia (ad Angoulême), nella regione del Cognac, terra natia del padre – sua madre è inglese – poi la vede studiare a Boston, Chicago, New York e cucinare al River Cafè, approdare in Italia al Park Hyatt, da Alice con Viviana Varese e infine al Ratanà, un locale milanese dal grandissimo e immediato successo anche grazie al suo contributo. L’ultima sua casa meneghina è l’Erba Brusca, un luogo più che un ristorante, aperto nel 2010 per coltivare (e mai parola fu più evocativa) l’idea di un orto con cucina annessa, un Km meno di zero. Significa che, cenando qui, troverete ingredienti raccolti nell’orto situato attorno ai tavoli sul retro del locale, oppure in piccole serre o provenienti dalle mani di produttori biologici accuratamente selezionati. I piatti nascono, per così dire, in maniera “naturale”, con gusti delicati, tenui, ma mai banali. E rappresentano l’espressività della natura nei suoi tratti più semplici e autentici, come raramente potrete trovare altrove. Un esempio, la “vellutata di sedano rapa e mele con saba e maggiorana”, oppure gli “agretti saltati con uovo poché e bottarga”, e ancora i “tuffoli al ragù di cortile con erbe aromatiche e scorza di arancia”. Ma la naturalità, e i natali internazionali, si possono più che intravedere nei secondi piatti, come la ”tarte tatin salata di cipolle di Montoro al forno, fonduta di ricotta salata e cicorino di campo” o nell’esotico e raffinato “agnello al forno con cous cous speziato, erbe, limone sotto sale e salsa di yogurt”.

Giuro che non le chiederò che cosa significa essere una donna in un mondo di chef uomini. Inizierei dalle basi: quando era bambina che cosa voleva fare da grande?

Facevo sogni da esploratrice, un po’ esotici, ma direi tipici del giramondo. Ricordo che in un primo tempo avrei voluto fare la calciatrice, poi invece cambiai idea: puntavo a diventare fotografa per National Geographic.

Cosa l’ha portata poi a diventare uno chef?

Una parziale delusione, quale è stata una laurea inutile in Scienze politiche. Avevo studiato con impegno, perché pensavo che, per rendere felici le persone, la strada da percorrere fosse quella dell’attivismo e dell’impegno politico. Col tempo ho imparato che con il cibo era molto più verosimile e immediato raggiungere quest’obiettivo, senza compromessi e secondi fini.

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La cucina è un luogo creativo, eppure spesso con regole meticolose: ci vuole più matematica o fantasia?

Ho sempre detto la fantasia, però con il passare degli anni e alla luce delle mie esperienze professionali, mi sono resa conto che senza un bel po’ di matematica e organizzazione non si va da nessuna parte. Specialmente in cucina, dove margini e ritorni vanno calcolati al centesimo se si vuole offrire un prodotto davvero fresco, ben lavorato e a prezzi accessibili.

Cosa la diverte di più in cucina?

Mi diverto quando troviamo l’armonia durante il servizio, siamo tutti concentrati, i piatti escono belli e buoni, tutti i movimenti sono coordinati e veloci. Pare quasi una magia, che ovviamente è frutto di tanto impegno e spirito di squadra.

E lo strumento che preferisce?

Oltre a un coltello ben affilato, un bel mortaio in pietra per lavorare nella maniera più semplice, diretta e ricca di sapore tante materie prime di qualità. Se penso al mio orto, il mortaio e il pestello sono i due elementi che mi permettono di rispettare di più il sapore originario della terra.

Il suo ristorante è a Milano, capitale italiana della moda, e si parla sempre più spesso di tendenze anche nell’ambito della cucina. Cosa ritiene che abbiano in comune questi due mondi e sotto quali aspetti, invece, non vanno proprio d’accordo?

In realtà, spero che non vadano mai d’accordo! Personalmente non seguo le sfilate e nemmeno leggo le riviste di moda, di cui ammetto di non capire niente. Anzi, sono felice di lavorare in cucina, la divisa mi piace proprio!

Ha mai consigliato il ristorante di un amico?

Sempre e volentieri. Di recente mi è capitato con il Pasta Madre, in zona Porta Romana.

ERBA BRUSCA

Alzaia Naviglio Pavese, 286 MilanoTel. 02 87380711www.erbabrusca.it

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