Salario minimo senza se e senza ma

salario minimoA Mokhtari/iStockPhoto

Comunque la si pensi, al di là della propria personale posizione di qua o di là del confine che delimita il ruolo di dipendente da quello di datore di lavoro, che ci si ritenga liberisti o meno, c’è una cosa che – credo – quanto sta accadendo nell’economia moderna ha dimostrato inequivocabilmente, ed è che il mercato non sempre ha la capacità di regolare alla lunga tutto: non sempre vince il migliore. Certo, a volte vince il più forte (nella creatività, nell’innovazione, nell’intraprendenza), altre solo quello meglio attrezzato economicamente o già ben piazzato “strategicamente” sul mercato.

Nell’era in cui una pandemia ci ha insegnato – ammesso che ciascuno di noi poi sia stato in grado di impararlo – che la nostra società è un costrutto estremamente fragile, composto da un insieme di elementi altrettanto fragili (che siamo noi), non si può ancora retoricamente e cinicamente pretendere che sia il mercato a imporre la giustizia sociale ed economica. Perché la giustizia del mercato è un sistema meccanico, mentre alla società, all’umanità attiene (o dovrebbe attenere) l’etica, che per sua natura si compone di sfumature, non risponde per format prestabiliti, ma asseconda il bene del singolo come della comunità. Tutto questo per dire che, al di là della manfrina sul salario minimo, che impone ovviamente delle esigenze di far quadrare i conti, c’è l’urgenza – suprema – di riconoscere dignità al lavoro, a qualsiasi lavoro, anche (anzi soprattutto) a quello peggio pagato.

E nel momento in cui ci sono imprese che non hanno la capacità e la lungimiranza per farlo, deve essere lo Stato a trovare il modo e i mezzi affinché a tutti i lavoratori siano offerte le condizioni minime (anche se sarebbe auspicabile arrivare alle medie…) per poter condurre una vita dignitosa. Le statistiche parlano di 3 milioni di lavoratori che, nell’Italia dei salari medi tra i più bassi d’Europa, si avvantaggerebbero eventualmente di una disposizione di legge sul salario minimo.

Governo permettendo, per l’economia delle famiglie e i consumi sarebbe una rivoluzione di gran lunga superiore a quella del reddito di cittadinanza, quindi l’industria avrebbe anche da guadagnarci in termini brutalmente di bilancio. E se le aziende dovessero dover riscrivere i loro piani industriali, le proiezioni di sviluppo e ritracciare la curva degli utili, pazienza. Come ha avuto modo di dichiarare a Repubblica Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione cattolica, in questo caso «si tratta di mettere insieme il meglio di quello che lo Stato può fare, di quello che la società può fare, e di quello che il mercato sa e può fare». Altrimenti il senso stesso del nostro ritenerci un Paese civile, andrà – profondamente e irrimediabilmente – messo in discussione.

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