Nel futuro del negozio

Come salvare dalla stretta di Internet e Gdo una specie in via d’estinzione, il punto vendita. Il dilemma è sempre quello: come convincere le persone a entrare e a comprare? Da Abitare il tempo 2009 alcune proposte visionarie per trasformare i passanti in clienti. C’è chi prova con lo showroom virtuale e chi con l’agorà greca

l negozio ha bisogno di una bella rinfrescata. Stretto in una morsa micidiale tra lo spettacolo della merce offerto dalla grande distribuzione e la sempre più evidente praticità dell’e-commerce (ma c’è da giurarci, la situazione sarebbe ancora peggiore se in Italia il servizio postale funzionasse a dovere!), deve fare in fretta, se non vuole che si avverino le catastrofiche previsione della Confesercenti, secondo le quali a fine 2009 potrebbero aver abbassato la saracinesca ben 70 mila negozi in tutta Italia. Certo, la crisi ci ha messo lo zampino, ma il punto di partenza per stabilire i criteri con cui dare una seconda chance al caro vecchio punto vendita è comprendere il mutato atteggiamento dei clienti. Anzi, dei passanti. Quelli che passeggiando per strada possono rimanere indifferenti, oppure incuriositi o addirittura rapiti da ciò che vedono al di là della vetrina. È questione di dettagli, che possono però fare la fortuna o la bancarotta di un punto vendita. Il rompicapo, senza troppi preamboli, è: di cosa hanno bisogno veramente le persone, di un prodotto, di un servizio o di un’esperienza? Quando la fatidica soglia viene varcata, come si fa a trattenere i visitatori e indurli a comprare? Chi ha provato a ipotizzare spazi commerciali sperimentali si è sbizzarrito, e ha presentato ad Abitare il tempo 2009, la kermesse veronese dedicata all’arredo d’interno, proposte che vanno dai limiti del futuribile al ritorno al concetto archetipico di agorà. Punti di vista diversissimi, dunque, se è vero che c’è già chi pensa a come soddisfare le esigenze del mobile worker, ovvero di colui che ha contatti con il mondo solo attraverso il proprio smartphone, e chi invece auspica la ricreazione di uno spazio condiviso dove sviluppare relazioni sociali, ancor prima di rapporti commerciali. E ancora, se qualcuno sostiene che il prodotto deve tornare a essere l’indiscusso sovrano del punto vendita, che dunque diverrebbe poco più di una scenografia per esaltarne caratteristiche e appetibilità, non manca chi è convinto che lo spazio commerciale debba essere un mero tramite per l’acquisto di un oggetto di cui, vista la permeabilità di Internet, si conosce già tutto. Su una cosa, però, gli ideatori dei negozi del futuro sono unanimemente d’accordo: il vero ostacolo all’affermazione di questa nouvelle vague del retail è il conservatorismo dei proprietari dei negozi.

FUTURO PROSSIMO?

Su questo non ha dubbi Franco Passamonti, che a Cagliari guida lo studio Netshowroom, e che ad Abitare il tempo ha presentato il progetto senz’altro più tecnologico: uno showroom dove ogni prodotto è intangibile, e trova la propria forma solo nell’approvvigionamento di informazioni al riguardo, con sistemi rigorosamente digitali. «Il pubblico è avanti, i titolari delle insegne sono vecchi», dice senza mezzi termini quando gli si chiede se il mercato è pronto per un negozio come il suo, dove non esistono nemmeno i commessi, ma solo schermi interattivi e comunicazioni via Bluetooth ed Sms. «Ha mai provato a entrare in un negozio di via Durini, a Milano? I commessi sono tutti “imboscati” e si degnano di accorgersi che le persone sono entrate solo se si presentano in giacca e cravatta manifestando una forte propensione all’acquisto. Tutto ciò è sbagliato. Ma al di là di questo, noi dobbiamo rispondere oggi alle esigenze del nostro futuro cliente, il mobile worker, che ha pochissimo tempo a disposizione, e verso il quale è necessario far passare una gran quantità di informazioni in una manciata di secondi». Secondo Passamonti, il contatto con il cliente comincia quando non è ancora entrato in negozio, attraverso la profilazione. «Abbiamo inserito in vetrina una videocamera digitale che registra i connotati fisici di chi si ferma davanti al negozio, per determinarne sesso, età ed etnia. La prima cosa da capire», continua Passamonti, «è se il negozio è ben posizionato rispetto al proprio target». Al potenziale acquirente viene poi inviato via Bluetooth un file gif con un messaggio animato di benvenuto, che lo esorta a entrare. «A quel punto si è già rotto il ghiaccio, perché noi non diciamo semplicemente al cliente che esistiamo, lo invitiamo a venirci a trovare. Una volta entrato, il visitatore si trova davanti a una reception multimediale con uno schermo da 65”, dove sono trasmesse le informazioni sui prodotti. Grazie a una serie di display interattivi, può quindi sfogliare alcuni cataloghi elettronici e marcare le referenze di proprio interesse, che vengono inserite in un contenitore simile al carrello dei siti di e-commerce, senza però ricevere nessun preventivo. Dopo aver stampato brochure e depliant, potrà studiarli tranquillamente a casa e poi contattare l’azienda produttrice per conoscere prezzi e disponibilità. In altre parole, creiamo del valore aggiunto proprio rispetto all’e-commerce, altrimenti il negozio tradizionale sarà presto assorbito da Internet».

OLTRE LA VETRINA… NIENTE

Dal futuro prossimo al passato remoto. Ezio Ramera, titolare di Stile, che a Brescia è una vera istituzione nella progettazione di arredi per interni, pensa invece che i negozi così come sono concepiti oggi hanno sempre meno capacità di attrattiva perché la gente, soprattutto in questo periodo, si sente molto sotto pressione, quasi condizionata all’acquisto. «E i clienti, quando percepiscono forzature, evitano anche solo di varcare la soglia d’ingresso. Ecco perché un negozio dovrebbe essere concepito come uno spazio libero, uno spazio aperto, dove magari si fa tutt’altro, e poi, perché no si pensa anche a comprare. Il negozio diventerebbe così un contenitore delle eccellenza del territorio, al di là della categoria merceologica, dove ci sono più operatori che lavorano all’interno della stessa struttura, creando delle sinergie. Potrebbe nascere ovunque, in città come in provincia, in un cortile come uno spazio ad hoc». Ramera ha in mente il concetto di agorà, la piazza della polis greca dove i cittadini si incontravano per chiacchierare, discutere di politica e, se capitava qualche buon affare, per comprare. Un progetto agli antipodi di quello di Passamonti anche per ciò che riguarda le risorse umane: «È l’uomo a fare la differenza in un negozio. Il focus deve passare dall’oggetto alla persona. Ma per fare questo servono cultura, preparazione e capacità. Gli addetti ai lavori non lo hanno ancora capito e continuano a puntare al prodotto. Anche ad Abitare il tempo, chi visitava il nostro stand, dopo aver notato l’assenza dei prodotti, non andava oltre l’ingresso e si voltava. Perché si va ancora alla ricerca del prodotto, anziché di uno stimolo o di un’idea. Che posso dire? Meglio così: dopotutto sono miei concorrenti!». Ma Ramera non si rassegna, e conta sul passaparola per propagare il suo concept – per ora – incompreso di negozio senza vetrine.

L’ARTE DEL RETAIL

Meno radicale la terza delle soluzioni presentate ad Abitare il tempo. Quella fatta da Dario Maiocchi di Dima Design di Vimercate non vuole essere una proposta per un negozio del futuro, bensì un esempio di luogo del presente. Si tratta di uno showroom dedicato a oggetti e mobili di design di alta gamma per la decorazione d’interni. Quasi una galleria d’arte, dunque. «Faccio questo lavoro dal 1986, e per me collaborare con gli artisti nella realizzazione degli spazi espositivi è un’abitudine. Per questo non direi che il mio è un negozio del futuro, bensì il modo in cui vivo la realtà quotidianamente. C’è chi percorre la strada della tendenza e chi invece punta sulla personalizzazione. Certo, l’arte guarda sempre più verso il design, lo abbiamo visto anche all’ultima fiera Art Basel. Ma la nostra costante ricerca rispetto al design e alla progettazione ci ha permesso di continuare a distinguerci, senza confluire nella tendenza che ha investito anche il modo di comunicare gli spazi della Gdo».

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