Investire sul marchio

I brand globali hanno resistito alla crisi e preparano la ripresa. Ecco come lavorare sui marchi per creare valore in tre settori chiave - lusso, auto e finanza - secondo Manfredi Ricca, managing director di Interbrand Italia

A saperlo prima, molte aziende probabilmente avrebbero cambiato le loro decisioni di investimento: tra il 2008 e 2009, mentre le borse mondiali bruciavano miliardi di dollari, il valore aggregato dei brand globali è diminuito circa del 4%. Poca cosa, rispetto al grande crollo dei mercati internazionali. Lo studio di Interbrand Best Global Brands 2009 dimostra, infatti, come i marchi più forti hanno tenuto, dimostrandosi sempre più come un investimento strategico per le aziende. Con le parole di Manfredi Ricca, managing director di Interbrand Italia: “è una testimonianza della forza della visione secondo la quale gli investimenti nel brand creano valore economico per le aziende e riducono il rischio. Sono state premiate le realtà che hanno costruito intorno al marchio il loro modello di business, sacrificando anche il risultato economico di breve periodo alla costruzione di un’identità forte”. Il rapporto considera il valore attuale netto dei flussi economici che il brand è previsto generare in futuro, e dimostra l’oculatezza di chi ha continuato a investirvi nonostante la crisi, guadagnando la pole position per quando i mercati ripartiranno.Aprono la classifica tre realtà consolidate nel mondo del branding, stabili nel loro posizionamento dallo scorso anno. Coca-Cola ha un marchio da 68,7 miliardi di dollari in crescita del 3% sul 2008. Il brand Ibm vale 60,2 miliardi, il 2% in più rispetto allo scorso anno. Per Microsoft, nonostante una perdita del 4%, è stimato un valore del marchio di 56,6 miliardi. Quello che accomuna questi giganti del marketing è, secondo Ricca, l’innovazione messa al servizio di una visione: “Sono marchi storici che si comportano come se fossero nati ieri, nel senso positivo del termine. Coca-Cola propone ogni anno centinaia di prodotti che implementa con piglio militare sulle centinaia di mercati che presidia. Coca-Cola Zero, per esempio, è una lezione di brand management straordinaria”.

Lusso – obiettivo eccellenzaUna sorpresa positiva proviene dal mondo del lusso. Le aziende che si sono concentrate sul loro core business puntando all’eccellenza sono state premiate e il settore nel complesso ha retto bene in termini di marchi alle difficoltà del periodo, crescendo addirittura del 7%. «I consumatori ricercano l’esclusività vera e hanno rafforzato i brand con un posizionamento deciso sull’alta gamma. All’opposto, sono andati molto bene i marchi low cost come H&M e Zara, mentre ha affrontato perdite chi è rimasto a metà del guado. L’idea di lusso accessibile, molto forte negli scorsi anni, è stata rifiutata dai consumatori. Ai marchi luxury si chiede autenticità, storia e vera eccellenza. È il modello di Hermès, disposto a distruggere tutti i prodotti che non vengono realizzati a regola d’arte» commenta Ricca. Sono andati molto bene i brand di aziende che hanno saputo lavorare su tre direzioni: la diffusione geografica nei Paesi emergenti con una clientela potenziale di nuovi ricchi alto-spendenti, una focalizzazione sul core business e un controllo totale sulla supply chain fino al retail. Si è rivelata lungimirante la politica di nuove aperture portata avanti da molte firme, «Gucci, Vuitton, Hermès e Prada hanno ottenuto i migliori risultati nei propri negozi, dove l’esperienza di acquisto è più esclusiva. Il retail monomarca è infatti vitale per il lusso come celebrazione del brand in sé», rilancia Ricca.

Auto – parola d’ordine sostenibilitàQuello che per il lusso è l’esclusività, caratteristica a cui un marchio di successo non deve rinunciare, per il mondo dell’automobile è rappresentato dalla sostenibilità. Non è un caso che il primo brand del settore sia Toyota (6°), un marchio che ha sempre puntato su un posizionamento verde. Nel complesso, il mercato ha avuto una pessima performance in termini di brand, oltre che finanziaria, in parte perché le auto sono beni durevoli e i loro consumi risentono dell’andamento dell’economia, in parte per debolezze che il settore ha accumulato negli anni. La crisi si è manifestata come un punto di non ritorno: «I grandi dell’auto Usa, che ora rischiano il fallimento, si erano presentati agli ultimi saloni con modelli di Suv da 7 mila di cilindrata. Non hanno compreso la svolta che era in atto nei consumi: oggi un marchio dell’automotive non può prescindere dalla sostenibilità. Una parola d’ordine che ogni brand declina secondo la sua identità: per Fiat significa utilitarie con motori molto efficienti, per Bmw è il concetto di Efficient dynamics per cui l’approccio alla sostenibilità è di tipo meccanico e ingegneristico. Alcune aziende del settore, poi, hanno affrontato la crisi con particolare slancio: è il caso di Audi, che ha investito moltissimo per rafforzare il suo posizionamento sulla tecnologia». Peraltro chi ha saputo approfittare dell’abbassamento del costo delle comunicazioni pubblicitarie provocato dalla congiuntura economica si trova ora in posizione avanzata per cogliere la ripresa non appena arriverà.

Finanza – ricostruire la fiduciaLa performance disastrosa dei marchi attivi nel settore finanziario – il valore di molti brand del comparto si è dimezzato dopo la crisi innescata dalle insolvenze sui mutui subprime – indica le gravi conseguenze di una rottura del rapporto di fiducia con i consumatori che è necessario ricostruire per recuperare terreno. «Non è tanto una questione di immagine, quanto di modello di business. Per riconquistare la fiducia non basta una campagna pubblicitaria fatta bene», spiega Ricca. «Occorre un chiaro lavoro di posizionamento che parta dai valori specifici in cui si riconosce la banca, e che costruisca intorno a quelli il suo modello di business. Non si può offrire un certo tipo di prodotto ad alto rischio se si vuole affermare la propria identità su concetti come protezione e crescita. I valori specifici di una banca devono essere immediatamente percepibili dal cliente in qualsiasi momento della sua relazione con il brand: nei prodotti che gli sono offerti, nelle persone con cui ha a che fare e nell’attenzione che riceve. È un processo di ricostruzione complesso che è fondamentale affrontare per distinguersi in un settore fortemente compromesso». Il rischio più grande è apparire tutti uguali.

UN ANNO DI FORTI CAMBIAMENTI
Marchi globali con crescita a due cifre secondo la classifica Interbrand

Google (7°) +25% sul 2008 32 miliardi di dollari di valore del brand

Amazon.com (43°) +22% 7,9 miliardi di dollari di valore del brand

Zara (50°) +14% 6,8 miliardi di dollari di valore del brand

Marchi globali con perdite a due cifre secondo la classifica Interbrand

Ubs (72°) 50% sul 2008 4,4 miliardi di dollari di valore del brand

Citi (36°) 49% 10,3 miliardi di dollari di valore del brand

Harley-Davidson (73°) 43% 4,3 miliardi di dollari di valore del brand

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