Scienza, sprecati oltre 2 milioni di euro per pubblicazioni inaffidabili

Più di 2000 ricercatori italiani hanno scelto riviste predatorie, giudicate negativamente dal mondo scientifico, sprecando molte risorse pubbliche

Accanto alle tante ricerche italiane che appaiono sulle più autorevoli riviste scientifiche, ce ne sono anche alcune che percorrono il canale delle riviste predatorie, ossia quelle che pubblicano a pagamento studi di ogni tipo, spesso senza che siano rispettati gli standard dell’editoria scientifica e senza che siano stati fatti controlli di qualità. Un fenomeno, quello della falsa scienza, che solo all’Italia è costato finora 2,5 milioni di dollari (circa 2,23 milioni di euro). A dirlo è una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori di vari Paesi, fra cui Mauro Sylos-Labini dell’università di Pisa, pubblicato sulla rivista Research Policy, che ha analizzato i curricula dei 46mila professori e ricercatori italiani che hanno partecipato alla prima edizione dell’Abilitazione scientifica nazionale del 2012-13, un passaggio indispensabile per poter accedere ai concorsi per diventare professori universitari. Ebbene, dall’analisi è emerso che il 5% degli aspiranti professori universitari italiani, ossia 2.225 ricercatori, ha pubblicato almeno una volta sui predatory journal. Complessivamente sono poco meno di 6mila gli studi finiti su riviste giudicate inaffidabili. Considerando una media di 440 dollari di spesa (quasi 400 euro) ad articolo, significa che oltre 2,5 milioni di dollari, gran parte dei quali probabilmente sono stati prelevati da fondi di ricerca pubblici, sono andati sprecati.

Le ragioni che spingono verso la falsa scienza

Ma per quali ragioni 6mila ricercatori italiani hanno scelto di finire sui predatory journal cadendo nella trappola della falsa scienza? La maggior parte ha dichiarato di aver creduto alla serietà della rivista o di non aver fatto i dovuti controlli. Solo una minoranza ha dichiarato di aver scelto volontariamente queste testate, per la loro presenza nella whitelist di motori come Scopus: l’obiettivo finale era aumentare il proprio impact factor (un punteggio con il quale si giudica l’attività di un ricercatore) e racimolare valutazioni positive. “Il fatto che molti ricercatori e professori pubblichino articoli su queste riviste e le inseriscano nei loro curricula dimostra che ci sono enormi problemi nella valutazione della ricerca. I nostri risultati suggeriscono, infatti, che quando questa viene fatta da ricercatori poco esperti questi articoli possono persino essere valutati positivamente” ha commentato Sylos Labini.

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