La percentuale da cui tutto dipende: il mistero del rapporto deficit-Pil

La soglia fatidica da non superare è quella del 3%, un limite invalicabile per qualsiasi governo che altrimenti rischia sanzioni da parte della Commissione europea

È un indicatore temutissimo, il rapporto deficit-Pil. Se ne parla ogni anno, in genere a ridosso della tanto attesa legge di bilancio. I giornali non fanno che raccontare che l’introduzione di una certa misura farebbe aumentare il rapporto di una tale percentuale, che la cancellazione di una particolare tassa avrebbe lo stesso effetto. Ogni anno, i media raccontano degli sforzi, dei salti carpiati e degli avvitamenti da acrobata cui il governo è costretto pur di non superare la barriera del 3%. Che questo sia il tetto da non superare, lo sanno quasi tutti. Spiegare cosa sia il rapporto deficit-Pil creerebbe più di un problema a tanti.

Rapporto deficit-Pil: che cos’è

Si parla di deficit per indicare il disavanzo, cioè la differenza tra le entrate e le uscite quando le seconde sono superiori alle prime, altrimenti si sarebbe in presenza di un avanzo. In base alle regole di bilancio europee, introdotte con il Patto di stabilità e crescita nel 1997, con l’obiettivo di armonizzare le politiche di bilancio dei Paesi che sarebbero poi andati a formare l’Eurozona, la spesa annuale di uno Stato non deve essere superiore alle sue “entrate”, cioè il Pil, di più di 3% di quest’ultimo. Detto in termini ancora più semplici, se la ricchezza prodotta da un Paese in un certo anno equivale a 100 miliardi, la sua spesa non può superare i 103 miliardi.

Il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil è stato introdotto, come detto, con il Patto di stabilità ma compare per la prima volta nel Trattato di Maastricht del 1992. È infatti uno dei famosi parametri di Maastricht. Il deficit pubblico non va confuso con il debito pubblico, il quale a sua volta non deve essere superiore al 60% del Pil. La differenza è netta e quindi piuttosto semplice da spiegare. Un Paese la cui economia si trovi in disavanzo sta spendendo più di quel che produce e quindi deve indebitarsi. Il debito pubblico è la somma dei disavanzi accumulati nel tempo più la spesa per gli interessi passivi.

Un limite con molti limiti

Come mai si è scelto come tetto massimo il 3% e non il 2, il 5 o il 40%? La risposta sembrerà una boutade ma non lo è: la soglia è stata scelta in maniera assolutamente casuale, come spiega Guy Abeille, ex funzionario del ministero delle Finanze francese, nel documentario Piig. Non c’è nessuna legge o teoria economica a dare fondamento scientifico a questo pilastro della disciplina di bilancio dell’Eurozona.

Sul rispetto del tetto del 3% del rapporto deficit-Pil si gioca una partita interna al centrodestra. Da una parte c’è l’ex premier Silvio Berlusconi che ha dichiarato di impegnarsi a rispettare il limite di spesa, dall’altra Matteo Salvini, il quale sostiene che, nel caso in cui emergesse che questo tetto danneggia l’economia italiana, un suo governo non lo rispetterebbe.

Ma l’Italia come si sta comportando? Lo sta rispettando. Secondo l’Istat, nel terzo trimestre dell’anno scorso il rapporto deficit-Pil era al 2,1%, con un miglioramento rispetto allo stesso trimestre del 2016, quando era al 2,4%. Nei primi nove mesi del 2017, il rapporto si è attestato su una media del 2,3%.

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