Agenda digitale al palo: mancano 35 decreti attuativi

Appena 18 quelli promulgati in due anni. Ci sono anche i fondi (1,7 miliardi dall'Ue) ma i ritardi dei vari governi bloccano la rivoluzione tecnologica italiana

Appena 18 decreti, quasi uno al mese, su 53. La corsa dell’Italia alla rivoluzione prevista dall’Agenda digitale è più che altro una passeggiata.

Per una volta non è un problema di fondi – denuncia l’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano . quelli ci sono e sono in arrivo dall’Ue altri 1,7 miliardi di euro fino al 2021 oltre a risorse nazioni e private. Ma con 600 giorni di ritardo su alcuni provvedimenti tutto resta bloccato.

«Lo spread digitale tra la nostra e le altre economie europee ha raggiunto ormai i 25 miliardi di euro l’anno. Si tratta di mancati investimenti in innovazione che ancorano l’economia italiana ad assetti e processi obsoleti», dice il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania.

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Non c’è settore dove la marcia tricolore non sia in clamoroso ritardo: nell’e-commerce accusiamo 19 punti di svantaggio dalla Svezia, sull’e-governement il 17% e sui servizi Internet il 16%. Per non parlare di dove le cose funzionano, ma male: «Il nostro Paese ha dimostrato una minore capacità di estrarre valore dalle tecnologie digitali, dovuta alla mancanza di investimenti complementari in organizzazione, processi, competenze», denuncia il rapporto.

ECONOMIA A PICCO. Come una qualunque connessione nostrana, l’economia digitale tricolore è lenta. Per i Paesi Ocse rappresenta il 4,3% del pil, da noi solo il 2,1%.

Così l’occupazione e il pil accusano questo divario: a fronte di 2,6 posti di lavoro creati in media a fronte di ogni lavoratore licenziato (in Svezia 3,9), in Italia le richieste di lavoratori digitali rimangono insoddisfatte (circa 150 mila posti vacanti fino al 2020).

Per quanto riguarda il prodotto interno lordo, il digital divide ha causato tra il 1994 e il 2012 un arretramento del 15% per ogni occupato rispetto a Francia e Germania, 25% sul Regno Unito e 30 sugli Stati Uniti. «Su questo risultato ha pesantemente influito una riduzione degli investimenti in Ict, passati da un valore sostanzialmente confrontabile alla quota sostenuta da Svizzera e Germania agli inizi degli anni ’90 (il 12% del totale degli investimenti lordi in impieghi fissi non residenziali) fino a uno dei peggiori posizionamenti relativi di tutta Europa»; spiega l’indagine.

COME ACCELERARE? Per provare a ridurre il gap, Elio Catania suggerisce un percorso in sette punti: un portale di Log-in nazionale, una piattaforma per i servizi della Scuola, il Fascicolo sanitario e la ricetta digitale, un sistema dei pagamenti, l’Anagrafe nazionale, il Sistema pubblico d’Identità digitale, l’interoperabilità Inps, Inail, Fisco.

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