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Gusto

La cucina cosmopolita di Wicky Priyan

Il meglio della cucina mondiale condensato con originalità. È quanto propone lo chef del ristorante Wicuisine di Milano

«La cucina non è un segreto, ma un’esperienza ». Questo la frase cardine della “Wicuisine” ovvero del modo di intendere la cucina di Wicky Priyan, uno degli chef più originali, creativi e intriganti che possiamo trovare in Italia in questo momento. Il suo ristorante è a Milano, ma propone un condensato della cucina mondiale come pochi altri al mondo.

Ha lanciato una speciale degustazione dello shabu shabu di kobe, disponibile solo su prenotazione al bancone, come è stata accolta? Questo piatto riflette lo stile del “nabemono’”, in base al quale i commensali sono coinvolti nel cucinare assieme sullo stesso tavolo dove si consuma la pietanza. Si tratta di un sistema che crea una simpatica atmosfera conviviale. Ho pensato di adattare questa tecnica, rielaborando la tradizione a modo mio, in una versione “meditteranea”, per creare un’esperienza di altissimo livello. Verrà introdotta un po’ alla volta, fino a coinvolgere tutto il ristorante, quando i clienti saranno adeguatamente preparati. È un piatto che si condivide, si usano diverse salse e si sperimentano vari sapori. In questo modo anche il cliente può acquisire una certa dimestichezza con i differenti gradi di cottura.

In tanti vogliono fare il cuoco, cosa consiglierebbe a un ragazzo che volesse intraprendere la carriera? Io sono fortunato perché sono nato più di 40 anni fa e, quando ho iniziato a imparare il mestiere, non esistevano ancora né il cellulare né internet. Ho trascorso la mia vita a imparare con fatica e dedizione, e i miei maestri mi hanno trasmesso la grande passione per questo lavoro e i segreti per svolgerlo al meglio. Oggi, invece, in troppi si limitano a cercare informazioni in Rete e copiare. Ricerca, perseveranza ed esperienza sono la chiave del successo. Il mio consiglio è, dunque, di studiare e spegnere il telefono, di non perdere il proprio tempo davanti a un computer, bensì di fare da soli con il proprio cervello.

Tanti miti sulla cucina giapponese non trovano conferme nei suoi piatti: qual è l’aspetto che sorprende di più i clienti? Non lo so chi abbia contribuito alla diffusione di certi falsi miti… La cucina nipponica, a dispetto dell’opinione diffusa, non è solo sushi e tempura, e per il 90% i giapponesi mangiano pietanze cotte. Anche nel mio ristorante la maggior parte dei clienti chiede il crudo, ma in questi cinque anni ho cercato di educarli. Molti si sono a tal punto incuriositi che hanno poi deciso di andare in Giappone per dare seguito a questa esperienza culinaria autentica.

Di recente ha fatto nuove scoperte in fatto di carni pregiate e razze bovine sudafricane per ora poco conosciute in Italia: la ricerca sulla carne dà le stesse soddisfazioni di quella sul pesce?Il nostro lavoro non è solo cucinare, ma, se possibile, anche innescare un cambiamento di mentalità. Per cucinare ci sono i cuochi, il vero talento è un’altra cosa. La gente di talento è capace di cambiare il mondo, certo un po’ alla volta, non subito. Potrebbe succedere quindi che io decida di fare lo “shabu shabu” con lo springbok sudafricano o, perché no, con l’impala. Chi può dirlo? Viceversa, un giorno magari gli africani faranno il sushi con lo springbok. Io l’ho fatto durante il mio viaggio in Sudafrica a fine agosto e, devo dire, che era buonissimo.

Corso Italia 6 – 20122 MilanoTel. 0289093781

wicuisine.it

La scorsa estate ha partecipato al seminario esclusivo sulla cucina kaiseki tenuto dallo chef Yoshihiro Murata (3 stelle Michelin), patron del celebre ristorante Kikunoi di Kyoto, e lei solo ha avuto l’opportunità di un appuntamento a due con lui. Cosa vi siete detti?Quando Murata ha iniziato a parlare, ho pensato che avrei avuto bisogno di un’altra vita per imparare, non solo per quanto riguarda strettamente la cucina. Il suo racconto è cominciato a partire dalla nascita, 400 anni fa, della cucina giapponese, poi ha parlato di umami, dashi, delle giuste misure per tagliare e di come la tradizione nipponica sia importante anche per la salute. Farò tesoro di tutti questi insegnamenti per introdurre qualche novità significativa all’interno del mio menù.

Restando in Italia, dove le piacerebbe lavorare?Dopo dieci anni, Milano per me rimane il top. La Sicilia mi piace molto, ma non per lavorarci tutto l’anno. Sarebbe carino, magari, aprire un localino nella piazza di Marzamemi. Nel corso dei miei viaggi ho visto tante piazze, ma nessuna così bella. La mia vita comunque è a Milano e, in Italia, non la cambierei per nessun’altra città.

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Foto © Fabrice Gallina 2017