Lingerie: un impero sexy a rischio disruption

Una delle ultime novità della collezione Yamamay, brand italiano controllato dalla Pianoforte Holding, che guarda con sempre maggior interesse al mercato estero

C’è stato un tempo in cui la biancheria intima la produceva­no sarte e ricamatrici. Oggi per stare in questo mercato bi­sogna affidarsi soprattutto a ingegneri informatici ed esperti di big data. Nel settore molte cose stanno cambiando e nulla sembra essere come prima. Se n’è potuto avere una conferma all’inizio di novembre, quando si è tenuta a Cannes l’ultima edizione di MarediModa, l’evento più importante per la pre­sentazione delle nuove collezioni di athleisure, beachwear e intimo. E infatti, secondo Fashion Network , la parola che for­se meglio riassume le tendenze emerse nei tre giorni di sfila­te è disruption . La prima cosa a esser stata mandata in soffitta è l’idea che l’intimo non si debba vedere. Gli ultimi trend di­cono che il reggiseno può e deve far capolino dalla camicet­ta, in alcuni casi può addirittura essere portato direttamente sotto una giacca, così come lo slip può sporgere dai pantalo­ni. La lingerie, insomma, si prende la scena e lo fa con numeri di tutto rispetto. Secondo un’analisi di Grandview Research dello scorso giugno, questo mercato nel 2018 è arrivato a va­lere, a livello mondiale, 29,9 miliardi di dollari, con una previ­sione di crescita da qui al 2025 di un 7,5% all’anno. 

Mercato underwear in Italia 

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Una modella indossa un completo della collezione A/I 19-20 di Intimissimi

In Italia, che rimane una potenza in questo ambito, il settore ha accusato qualche colpo, come dimostrano le cifre fornite a ini­zio 2019 dalla Camera di Commercio di Pistoia che ogni anno organizza a Firenze Immagine Italia & Co., la fiera italiana di riferimento per l’underwear. Se è vero che tra gennaio e set­tembre 2018 le esportazioni hanno mantenuto i livelli più che lusinghieri del 2017, raggiungendo i 2,67 miliardi di euro, è al­trettanto vero che non sono cresciute e che contestualmente si è assistito a una riduzione del numero delle imprese che opera­no nel settore, passate in un anno da 2.455 a 1.649, e degli addet­ti, scesi a 14.201 unità dalle 25.292 del 2017, concentrati soprat­tutto in Lombardia, regione che, con le sue 439 imprese, vale da sola il 24,2% della produzione nazionale.

Il giro d’affari cresce, ma i brand italiani faticano ad approfit­tare dell’aumento della domanda. Questo dipende dal fatto che il 76% del loro export è diretto in Europa, un’area che mo­stra chiari segni di sofferenza. Il fatturato della lingerie trico­lore nel 2018 ha visto una contrazione dell’1% anno su anno (-2,5% la moda italiana nel suo complesso). Questo unito al fatto che il nostro mercato è già maturo e fiaccato da una cri­si dei consumi ormai endemica, che ha portato i grandi pla­yer nazionali a puntare sempre più oltreconfine. Il gruppo Calzedonia, che comprende anche Intimissimi e Tezenis, nel 2018 ha aperto 210 nuovi store all’estero, arrivando ad averne 2.968, ma soltanto 10 in Italia, dove ne conta 1.705. I Paesi sui quali il brand ha puntato di più sono Cina, Russia e Stati Uni­ti, oltre a Spagna e Francia. Negli ultimi anni ha esibito fattu­rati in aumento, passando dai 1.128 milioni di euro del 2010 ai 2.303 del 2018 – cifra notevole, che segna comunque un lievis­simo cedimento (-0,5%) rispetto al 2017 quando il gruppo ave­va toccato i 2,31 miliardi di euro – e mostrando una crescita rilevante sul mercato europeo, che valeva il 35,5% del fattura­to nel 2010 e il 51,9% otto anni dopo ma con un peso crescen­te degli altri Paesi, che contavano lo 0,2% del fatturato e sono arrivati a pesare il 3,1%. Strategia simile per Yamamay (di Pia­noforte Holding, che possiede anche Carpisa e Jaked) che nel 2018 ha inaugurato fuori dai confini nazionali nove punti ven­dita contro i sei aperti nel suo Paese di origine, arrivando ad averne rispettivamente 179 e 487. 

Lingerie: la nuova idea di bellezza femminile

Ma la disruption ha riguardato molto altro: un’idea della bellez­za femminile e, con essa, del ruolo della donna nella società. Lo conferma il tramonto del push up, le cui vendite – secondo Edi­ted – si sarebbero letteralmente dimezzate. Nella brasserie, il segmento portante dell’intimo femminile, vanno molto bralet­te, reggiseni a bandeau e triangoli. All’ultimo fashion show di Intimissimi si sono visti triangoli e bandeau, bra in pelle stretch, fantasie animalier e body in pizzo. Le donne non aspirano più ad assomigliare all’inarrivabile supermodella, ma chiedono biancheria che si adatti ai loro corpi e comoda da indossare.

Comodità è diventata una parola d’ordine, per questo chi non vuole perdere quote di mercato deve puntare sull’innovazio­ne, su algoritmi e software con cui studiare le proporzioni e calibrare la vestibilità. In poche parole, occorre fare ricer­ca. Yamamay, per esempio, ha lanciato la campagna “Innovare è sexy”, per ricordare come sia l’innovazione tecnologica uno dei principali alleati della bellezza femminile, proponendo una linea nuova con un design moderno e soprattutto con tes­suti Sensitive Fabrics. Ed è qui che si arriva al significato più co­mune di disruption , parola che solitamente indica un’innova­zione tale da ridiscutere equilibri e far tramontare imperi. 

Distruption nell’underwear: la caduta degli “angeli” 

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Sara Sampaio posa per l’Holiday’s gift guide di Victoria’s Secret, il più grande retailer di intimo al mondo, alle prese con un momento particolarmente difficile

L’esempio più attuale è quello di Victoria’s Secret, il più gran­de retailer di intimo al mondo alle prese con un momento particolarmente difficile, che ha portato alla chiusura di 30 negozi nel 2018 e altri 53 nell’anno in corso. Stando a un’anali­si di GlobalData Retail, negli ultimi anni il brand avrebbe per­so 3,8 milioni di clienti. La caduta degli dei, anzi, degli angeli, ha avuto un immancabile corrispettivo in Borsa. La capogrup­po L Brands ha visto crollare il valore delle sue azioni, passa­to dai circa 99 dollari del novembre 2015 ai 17,84 dello scor­so 4 novembre. La regina della lingerie arranca perché non ha saputo cambiare, continuando a rappresentare un model­lo di donna fuori sincrono con la società, ostinandosi a pro­durre poche taglie e ad aprire punti vendita nei grandi centri commerciali che, soprattutto negli Usa, sono stati messi fuo­ri combattimento dall’online. A rubarle quote di mercato, in­fatti, sono brand nativi digitali e soprattutto fondati da donne, che avevano in testa un prodotto che rispondesse alle loro esigenze e non servisse a compiacere gli uomini.

Lingerie: i brand nativi digitali 

Dietro Buttercups c’è, per esempio, Arpita Ganesh che, con un questionario online al quale hanno risposto 15 mila poten­ziali acquirenti, ha potuto produrre slip e reggiseni che rispec­chiassero le caratteristiche fisiche di chi li indosserà. ThirdLo­ve, fondata nel 2013 da Heidi Zak con il marito David Spector, ha raccolto 600 milioni di dati relativi a forma delle spalle, bu­sto, seno, ecc. attraverso un form cui hanno risposto 11 milioni di potenziali clienti. Un’applicazione, ThirdLove App, suggeri­sce il reggiseno ideale a partire da un paio di foto dell’acqui­rente. Un dettaglio incuriosisce: tra i finanziatori più impor­tanti della società c’è Lori Greeley, ex Ceo proprio di Victoria’ Secret. Poi c’è il fenomeno Lively, creazione di Michelle Cor­dero Grant, brand lanciato nel 2016 dal nulla e venduto la scor­sa estate al colosso giapponese dell’intimo Wacoal per 85 mi­lioni di dollari. L’elenco, però, è molto lungo. Dall’Italia, arriva Chité, start up che promette la possibilità di realizzare il pro­prio intimo su misura grazie alla possibilità di regolare spalline ­e busto e di applicare ricami personalizzati agli slip.

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La linea underwear ThirdLove

È una rivoluzione copernicana. Questi nuovi player offrono moltissime taglie, puntano su donne comuni, rifiutando di ri­correre al photo editing e usano i social in modo mirato, crean­do comunità di clienti che diventano brand ambassador. Inclu­sività e body positivity sono le stelle polari che orientano stilisti e responsabili marketing, come si è visto all’ultima New York Fashion Week, nel corso della quale Rihanna ha presentato la prima collezione della sua nuova linea di lingerie, Savage X Fen­ty, facendo sfilare una donna incinta e modelle che non aveva­no proprio le misure delle indossatrici canoniche. 

Se Victoria’ Secret piange, altri grandi player non ridono. È il caso di La Perla e dell’inglese Agent Provocateur, ambedue sim­boli dell’intimo di lusso, alle prese con guai che però hanno natura finanziaria e derivano dai giochi tra i fondi, che le han­no comprate e vendute, non da una fuga dei clienti. Tra loro e la miriade di nuovi sfidanti, ci sono le grandi catene che presi­diano il segmento medio, come le già citate Intimissimi, Tezenis e Yamamay oppure Oysho, del colosso Inditex (Bershka, Mas­simo Dutti, Zara). Il marchio spagnolo è forte di una rete che si estende in 44 Paesi e conta 650 negozi, 41 dei quali in Italia, con un fatturato di 585 milioni di euro nel 2018 (erano 416 nel 2014).

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Una proposta di sottoveste La Perla

Per queste ultime la sfida non è solo crescere sui mercati este­ri, come quello cinese, dove ci sono 200 milioni di donne con un buon potere d’acquisto, quanto quella di cambiare in mer­cati saturi e maturi, dove va ripensato il concetto di punto ven­dita e bisogna investire sulla digitalizzazione, che non vuol dire solo vendere online ma ingegnerizzare la gestione del magaz­zino, la logistica e usare i Bid Data come i competitor più agili che si sono affacciati sul mercato. Il progetto CYao è una prima risposta. Il nuovo concept store del gruppo Pianoforte preve­de uno spazio comune per i marchi Yamamay e Carpisa, non­ché un’app da scaricare con cui assicurare sconti e promozio­ni ai consumatori e tante informazioni sulla clientela ai due brand. Triumph, che sta procedendo con una strategia all’inse­gna dell’omnicanalità e digitalizzazione, già nel 2018 aveva lan­ciato un programma di formazione per il personale dei suoi punti vendita italiani, per favorire la digitalizzazione degli store.

Il mercato della lingerie è una cartina di tornasole utile per capi­re la società, particolarmente reattivo alle dinamiche sociali e ai cambiamenti tecnologici. Non saper leggere le prime e non pa­droneggiare i secondi può essere fatale. Anche in un settore in crescita, qualcuno rischia di rimanere in mutande.

Articolo pubblicato su Business People, dicembre 2019