Prendete un album da disegno. Sì, proprio uno di quelli che usavate da piccoli sui banchi di scuola e che sono presenti ancora oggi negli zaini di figli e nipoti. Date uno sguardo alle agende sulle vostre scrivanie. Pensate anche al biglietto che avete firmato di recente per salutare un collega prossimo alla pensione, oppure alle partecipazioni di nozze dei vostri amici che avete trovato nella cassetta delle lettere. E ricordate quella scatola di cartone acquistata di recente per confezionare un pacchetto regalo? Alla cassa, forse, avete pagato con una banconota e magari conservate ancora da qualche parte lo scontrino fiscale…Ebbene, anche se a prima vista non sembrerebbe, sono tutti fogli e oggetti che con buona probabilità hanno in comune qualcosa: la matrice. Per convincervene, vi basterà puntare il compasso in quello che, il più delle volte, è il loro punto di raccordo: Fabriano (An), nelle Marche, noto polo industriale made in Italy, storicamente legato alla produzione degli elettrodomestici. Ma, prima ancora, a quella della carta, tanto che da ben 750 anni il piccolo comune è anche sede delle omonime cartiere oggi conosciute in tutto il mondo.
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Un marchio che, attualmente, può vantare la capacità produttiva di 200 mila tonnellate annue realizzate in quattro stabilimenti – oltre a Fabriano, quelli di Rocchetta (An), Pioraco (Mc) e Castelraimondo (Mc), per un totale di 500 dipendenti – e che dal 2001 fa parte del Gruppo Fedrigoni: colosso altrettanto storico, con 125 anni di attività alle spalle e dal fatturato di circa 800 milioni di euro l’anno, il 70% ottenuto proprio dalla carta. È una tradizione lunga otto secoli, quella di Fabriano, che ha attraversato trenta generazioni a partire dalla preparazione della “bambagina”, impasto di canapa e lino, di cui si ha una prima testimonianza nell’ordine di cancelleria di un notaio di Matelica, datato 1264. Perché, se stiamo parlando di un’invenzione cinese, come testimonia un antico brandello in fibra di lino risalente a duecento anni prima di Cristo, ritrovato nel 2006 a Gansu, nella Via della Seta, e se le prime officine sono collocabili presso i califfati arabi di Baghdad e Samarcanda dell’alto Medioevo, è successivamente e solo nei pressi di Ancona che la lavorazione viene rivoluzionata. Non appena, cioè, un gruppo d’ingegnosi fabrianesi si mettono a impastare stracci e fibre vegetali utilizzando, accanto a pestai e mortai, anche pile idrauliche a magli multipli che sfruttano la forza dell’acqua: quella del fiume Castellano (l’attuale Giano), sulle cui sponde nasce così una piccola “valchiera” (o “gualchiera”, opificio). Gli artigiani trovano poi il modo di rendere i fogli meno deteriorabili, sostituendo alla colla a base di amido di frumento, usata all’epoca, una gelatina animale ottenuta dagli scarti delle pelli provenienti dalle concerie locali.
A FABRIANO SI STAMPANO BANCONOTE ANCHE PER PAESI COME INDIA, INDONESIA E CINA
Terza grande innovazione, i primi fogli “vergati”, antesignani della filigrana che, oltre a presentare una tecnica di maggior pregio, rendono più difficile la falsificazione degli scritti. Il salto di qualità del prodotto è tale che le autorità dei vari stati, a partire da Federico II, re di Sicilia, revocano il divieto d’uso della carta nel campo della documentazione, rivalutandola e giudicandola idonea a sostituire la pergamena per editti e atti ufficiali. È la consacrazione: Fabriano diventa punto di riferimento non solo in Italia, ma in tutta Europa, per raggiungere l’apice del successo nel Rinascimento, sotto la signoria locale dei Chiavelli. Risale al 1514 una lettera che Michelangelo Buonarroti scrive a un amico su carta Fabriano, chiedendo consiglio su come potersi disfare di un garzone. E, a proposito di nomi illustri, come testimonial ante litteram delle storiche cartiere l’artista non è certo l’unico: più tardi, nel 1815, Ludwig van Beethoven compone sulla carta filigranata una sonata per il suo committente e allievo, Rodolfo d’Asburgo. Anche letterati come Giacomo Leopardi e Gabriele D’Annunzio vi affidano le loro missive.Nelle fabbriche lambite dal Giano i momenti difficili certo non mancano, ma vengono superati grazie all’intuito, all’esperienza e alla lungimiranza di capitani d’azienda che, ogni volta, ridanno linfa al business. Per esempio quando, all’indomani della Rivoluzione Industriale, il metodo fabrianese risulta arretrato e di minor livello rispetto a quello della concorrenza straniera. Nel 1782 Pietro Miliani, dipendente di una cartiera locale, rileva tale azienda e le dà il suo nome, investendo ingenti risorse in un’imponente opera di riorganizzazione, dall’acquisto di nuovi macchinari alla fabbricazione sperimentale della più sottile “velina”, già usata in Francia.
IL SEGRETO DI QUESTO MODELLOÈ L’AVER CONTINUATO A EVOLVERSIPER VINCERE LE SFIDE DEI NUOVISCENARI DI MERCATO
Non sono da meno i suoi successori. Il nipote Giuseppe trasforma l’impresa di stampo familiare in un grande complesso industriale; a inizio ‘900 il discendente Giovanbattista acquisisce tutte le altre ditte della zona e imprime un’elevata spinta propulsiva alle Cartiere Miliani, imponendole sui mercati internazionali. Tuttavia, poco dopo la scomparsa di quest’ultimo, nel 1931 l’opificio viene rilevato da un consorzio formato da enti pubblici, tra i quali spiccano l’Istituto Poligrafico e la Zecca dello Stato. Dopo alterne vicende e una nuova ragione sociale, Cartiere Miliani Fabriano entrano a far parte del gruppo veronese Fedrigoni, che le rilancia puntando su qualità produttiva, tecnologie all’avanguardia e forte impegno ecologico. Risme e cancelleria per la scuola e l’ufficio, packaging, etichette, linee artistiche e fogli impregnati di essenze e profumi: oggi l’offerta del brand marchigiano è sempre più diversificata, atta a soddisfare una clientela quanto più ampia e variegata. Per non dimenticare il segmento delle security paper, un ulteriore settore in cui l’impresa vanta primati d’eccellenza: passaporti, sistemi di sicurezza (un mix di fili metallici, filigrana e ologrammi), blocchetti per assegni e banconote. Piccola curiosità: negli ultimi anni, accanto agli euro, gli storici stabilimenti dei mitici album F4 sfornano con un certo ritmo anche rupie per India e Indonesia e, udite udite, yuan per la Cina. Proprio per quei territori, dunque, che furono culla dei primi pezzi di carta in paglia di riso e canna di bambù, prima che il segreto della lavorazione fosse svelato ai fabrianesi, e che questi inventassero un’altra formula rivelatasi vincente da subito. Come dire, la boucle est bouclée.
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