Quando il golf supera i campi da golf

Solo negli States, il comparto supera per valore quello dell'industria cinematografica, dell'home video e dell'editoria. Ma è sempre meno attrattivo per le nuove generazioni. La soluzione per far fronte alla crisi? Portare il gioco fuori dai campi

I giovani fanno paura. La stampa statunitense è infarcita di ar­ticoli che iniziano con “Millennials are killing…”, (i millennial stanno distruggendo, ndr), quelle che per la generazione precedente erano certezze acquisite. Interi settori nel mer­cato hanno vacillato perché i valori e i messaggi che propo­nevano non sono più evidentemente in sintonia con le esi­genze delle nuove leve, che però determineranno i consumi nei prossimi trent’anni. E allora via ai giudizi negativi: soffrono di defi­cit d’attenzione, non conoscono il valore del tempo, sono abitua­ti a usare e gettare. Sì, forse dal punto di vista di chi la rivoluzio­ne tecnologica l’ha subita invece che cavalcata, sono questi i tratti più evidenti dei venti/trentenni di oggi. Ma se non fosse proprio tutto qui? Se invece si trattasse di una semplice evoluzione, maga­ri un po’ più veloce di come siamo stati abituati?

ALLE ORIGINI DEL CALO DI APPEALL’allarme più recente riguarda il gioco del golf. Praticamente sem­pre uguale a se stesso, difficile pensare a qualcosa di più tradi­zionale, elitario e rappresentativo di un mondo patinato, calmo e lontano dai ritmi forsennati della modernità. Dove l’etichetta è una norma, il silenzio un valore e l’individuo è al centro del gioco. Si tratta, economicamente parlando, di un settore estremamente importante per le risorse che riesce a generare. Con i suoi oltre 15 mila circoli, solo negli Stati Uniti il golf è un comparto da 84,1 miliardi di dollari, che supera anche l’industria cinematografica, dell’home video e dell’editoria cartacea. Dà lavoro a oltre 2 mi­lioni di persone, senza contare l’indotto turistico. Non stupisce, quindi, che si levino voci allarmate sul disinteresse che le nuove generazioni stanno dimostrando per clubhouse, tee e bastoni.

In realtà le cose non sono proprio così. Innanzitutto vale la pena ricordare che proprio i Paesi in cui il golf è maggiormente diffuso, e cioè Regno Unito, Stati Uniti e Fran­cia, hanno registrato l’arrivo di immigrati da aree in cui questa di­sciplina non era particolarmente praticata e, di conseguenza, nemmeno considerata importante: il Pew Research Center ha sti­mato che nel 2036 i millennial negli Stati Uniti saranno 81,1 milio­ni, grazie ai figli degli immigrati. Sono generazioni native digita­li, che basano la loro esperienza del mondo sulla tecnologia e sui device. Sono delusi da promesse ottimistiche (quelle dei loro ge­nitori) che si sono infrante sul muro della crisi economica, tradi­ti da una generazione che non li ha saputi proteggere e che oggi non sa indirizzarli, figuriamoci ispirarli. Privilegiano l’intensità alla durata, l’emozione da vivere in un tempo breve, ma memorabile. Possibilmente a costo ridotto e condivisibile per soddisfare il bi­sogno di partecipazione e di coinvolgimento, secondo una logi­ca di gratificazione istantanea che è tipica delle piattaforme social.

DALLA LOUNGE ALLA CLUBHOHUSEEcco perché qualcuno ha ripensato il golf, scollandolo dalla cor­nice tradizionale per rimodellarlo sulla base dei nuovi consuma­tori. Nel 2000, nel Regno Unito, con TopGolf i fratelli Steve and Dave Jolliffe hanno inventato un nuovo approccio, che unisce la competitività al divertimento puro. Al posto di distese verdi, in­frammezzate da bandierine e buche, c’è un campo molto più pic­colo (circa 5 ettari) cui non si accede direttamente, ma in cui pal­line dotate di microchip vengono lanciate direttamente da una lounge, comoda e dotata di tutti i comfort. Niente buche, ma una sorta di bersagli a settori concentrici da colpire con le palli­ne per accumulare punteggi (immediatamente visibili su un mo­nitor, grazie all’uso del microchip), e soprattutto vari tipi di giochi (e di bersagli) disponibili, per diversificare l’esperienza. Acquisi­ta nel 2004 dall’americana WestRiver Group, in meno di 20 anni, TopGolf è diventata uno dei brand più interessanti del mercato statunitense, dove oggi è presente con 51 strutture, oltre a quel­le di Regno Unito, Australia, Canada e Giappone. Le dimensio­ni ridotte rendono l’esperienza di gioco fruibile anche in conte­sti urbani e suburbani, aumentando considerevolmente il bacino di utenza potenziale. In realtà, come ci spiega la responsabile del­la comunicazione, Morgan Schaaf, TopGolf non è in concorrenza con il gioco tradizionale, anzi, «vuole coesistere con il golf, è pen­sato per rendere questo sport accessibile a chiunque. Uno stu­dio condotto dalla National Golf Foundation nel 2017», aggiunge Schaaf, «ha dimostrato che Topgolf ha avuto un ruolo importan­tissimo nel portare un gran numero di persone sul green: il 25% circa dei nuovi giocatori ha iniziato con un’esperienza in una del­le nostre strutture, mentre il 75% di essi ha affermato che proprio questa attività è stato uno stimolo per praticare anche il golf tra­dizionale. Questi nuovi campi, ma anche i brand collegati come TopGolf Suite e TopGolf Live, introducono i neo-golfisti a questa disciplina in modo divertente e in un’atmosfera leggera, ma allo stesso tempo consentono all’esperto di fare pratica».

È stato ridisegnato l’intero modello di business, togliendo al cam­po la sua centralità e regalandola ai giocatori. A cominciare dai co­sti: per prenotare una hitting bay (la postazione di lancio con annesso salottino) bastano circa 25 dollari l’ora da dividere per un massimo di sei giocatori; successivamente si può acquistare cibo healhty, vino locale o champagne, oppure cocktail per comple­tare la serata. Si può giocare fino a tarda notte, facendo del golf un’alternativa ad altre forme di intrattenimento. Eventi speciali a tema, cooking show, musica dal vivo e dj set completano l’espe­rienza, che in questo modo è riuscita a coinvolgere anche i gio­vanissimi. Nel 2018 degli oltre 45.600 clienti giornalieri, il 54% era composto da millennial, il 16% appartenente alla generazione Z.

L’intuizione dei fratelli Jolliffe è stata quella di spostare il focus dal gioco in sé a un’esperienza “gamificata”, rendendo la gara parte dell’intrattenimento. I risultati sono stati da subito incoraggianti: nel 2015 erano 300 i milioni di dollari di ricavo, che diventeranno 600 entro il 2020, stando alle stime della società di ricerca finanzia­ria Cowen Inc. «Puntiamo a coinvolgere un pubblico che non ha mai considerato di dedicarsi al golf», continua Schaaf, «attraver­so una combinazione di attività che da sempre rientrano nell’idea di piacevolezza: musica, buon cibo e, naturalmente, compagnia. Per apprezzare TopGolf non bisogna essere bravi giocatori, quel­lo che conta è la capacità di generare momenti che diventano bei ricordi. Anche per questo ci impegniamo a offrire approcci sem­pre nuovi al gioco: in persona, virtuale e digitale, in modo da in­teressare un pubblico che guarda costantemente alle novità». Per attirare la digital generation – e qui è stata l’intuizione vincente – serve una digital experience: «Sicuramente la tecnologia è stata una delle pietre miliari del brand. Dal Toptracer (che consente di visualizzare sul tv il tragitto delle palline nei tornei internazionali in real time) all’app WGT Golf (oltre 10 milioni di download), dai nostri simulator lounge a Topgolf Suite, tutto punta a creare un’e­sperienza di gioco che definirei olistica».

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