Londra celebra l’italian style

Settant’anni di stile, passione, creatività e colore. Nomi, volti e griffe verranno raccontati al Victoria and Albert Museum in un grande evento che renderà omaggio alla storia e alla maestria della moda tricolore

Ci fu un momento in cui gli italiani smisero di guardare con deferenza oltreconfine e, con la consapevolezza di coloro che sanno di poter diventare grandi, si trasformarono in creatori di qualcosa di unico. Erano gli anni ’50 del secolo scorso, ormai ci si era lasciati alle spalle la Seconda Guerra Mondiale e a Firenze, con le prime sfilate, organizzate dal marchese Giovanni Battista Giorgini, nasceva ufficialmente la moda italiana. Fu un momento magico, nel quale confluirono sapere sartoriale, creatività artistica e coraggio. Da questa sorta di Rinascimento prenderà le mosse The glamour of Italian Fashion 1945-2014, la sontuosa mostra che – dal 5 aprile e fino al 27 luglio 2014 – il Victoria and Albert Museum di Londra dedicherà allo stile italiano e al grande contributo che le nostre firme più prestigiose hanno dato al fashion system planetario. Un viaggio lungo sette decenni alla scoperta di una delle indiscusse eccellenze di un Paese, il nostro, che a un certo punto della sua storia decise di lanciare il guanto di sfida ai cugini d’Oltralpe. E a farlo per primo fu appunto il marchese Giorgini, discendente di un’antica famiglia nobiliare lucchese, il quale intuì che la folta squadra di stilisti italiani poteva competere con i già lanciatissimi couturier francesi. Erano i tempi dei debutti di Pierre Cardin e Yves Saint Laurent (giovanissimo successore di Christian Dior) e della riapertura, dopo 15 anni di serrata, della maison Chanel di Parigi. Allora la capitale della moda era la Ville Lumière, quindi cercare di dare vita a qualcosa che si discostasse dai suoi dettami sembrava impresa impossibile. Non per il marchese Giorgini, che il 12 febbraio 1951 spalancò le porte della sua splendida residenza fiorentina, la celebre Villa Torrigiani, per un evento che chiamava a raccolta i più importanti buyer internazionali. Collocato strategicamente subito dopo le sfilate parigine, con i compratori americani ancora in Europa, l’evento – ribattezzato First Italian High Fashion Show – vide sfilare per la prima volta insieme case di moda e sartorie artigianali della penisola.

C’erano Simonetta, la principessa Giovanna Caracciolo Ginetti in rappresentanza della sartoria Carosa di Roma; ma anche le sorelle Fontana, le tre giovani ragazze della provincia parmense Zoe, Micol e Giovanna, salite agli onori della cronaca per aver confezionato l’abito indossato dall’attrice americana Linda Christian per il tanto atteso matrimonio romano con Tyron Power. In passerella anche le creazioni di Emilio Schuberth, l’estroso stilista napoletano che, nonostante fosse un grande amante delle donne, si fingeva omosessuale, ritenendo che il ruolo dello stilista lo richiedesse. Presenti anche il romano Alberto Fabiani, le sartorie milanesi Vanna e Noberasco, Jole Veneziani con le sue pellicce e colei che anticipò il gusto del new look di Christian Dior, Germana Marucelli. Assente il marchese di Barsento, per tutti Emilio Pucci, che preferì far sfilare le sue colorate collezioni a casa propria. In tutto il mondo l’evento ebbe una vasta eco, con la stampa internazionale – certo con l’esclusione di quella francese – a sottolineare come le italiane fossero creazioni di alta moda, paragonabili ai capi che sfilavano a Parigi, ma dal prezzo meno proibitivo. Quella sera scivolò dalle mani della capitale francese lo scettro di un monopolio nel lusso che gli italiani si conquistarono passerella dopo passerella, seducendo – grazie allo stile e alla classe che seppero esprimere – le grandi star di Hollywood, da Audrey Hepburn a Grace Kelly, da Anita Ekberg a Elizabeth Taylor.

TUTTE LE MOSTRE SULLA MODA, IN ITALIA E ALL’ESTERO

A quella nascita la mostra londinese rende omaggio unitamente al fenomeno che prese le mosse da quella magica serata, dopo la quale nulla fu più come prima. Così, avvalendosi di materiale fornito dalle stesse case di moda, dalle rispettive fondazioni e dai musei, viene raccontato il passaggio dagli anni ’60 ai ’70, che videro la nascita di un’intera generazione di personalità, capaci con le loro intuizioni di rivoluzionare il concetto di stile: dalle sorelle Fendi che, collaborando con Karl Lagerfeld cambiarono l’universo delle pellicce, all’audace Mariuccia Mandelli in arte Krizia fino agli inventori del tricot di lusso colorato, Ottavio e Rosita Missoni, e alla “pelle da indossare” griffata Trussardi. Vengono raccontati il periodo nel quale salì alla ribalta un giovane sarto di Voghera, capace di regalare al mondo un nuovo colore, il Rosso Valentino, nonché la decade in cui si affermò il prêt à porter di lusso, anticipato diversi anni prima con lungimiranza da Walter Albini, lo stilista famoso per essere uscito dall’atelier per entrare in fabbrica. Si arriva quindi all’exploit degli anni ’80, con l’avvento di Gianni Versace, figlio di una sarta calabrese, divenuto poi l’amico di principesse (vedi l’indimenticata Lady D.) e star del cinema e della musica, e di Giorgio Armani, lo stilista italiano che, firmando gli abiti (e soprattutto la giacca destrutturata), rivoluzionò il guardaroba maschile raggiungendo una fama planetaria. Al contempo, l’affermarsi della “Milano da bere” quale indiscussa capitale italiana e, possiamo dirlo, mondiale dello stile mette fine alla disputa tra Firenze (centro nevralgico delle sartorie artigianali) e Roma (sede dell’Alta moda). Il resto è storia recente.

Con Dolce & Gabbana, Moschino e il nuovo corso di Prada a tenere continuamente puntati i riflettori sull’Italia. La mostra londinese, curata da Sonnet Stanfill, attraversa proprio tutte le più gloriose ere dell’Italian Fashion, arrivando fin ai giorni nostri con i più giovani e promettenti talenti quali Giambattista Valli, Fausto Puglisi, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, il duo oggi al timone creativo di Valentino. Il risultato è il più grande show dedicato alla moda italiana, organizzato al di fuori dei nostri confini nazionali, nel più importante museo di arte e design del mondo, sito proprio in quella Londra oramai centro propulsore (più di Parigi e, purtroppo, più di Milano) dell’innovazione creativa.

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