Non esistono più le nonne che la sera sferruzzavano a maglia davanti al camino (e più tardi davanti alla Tv), così come, d’altra parte, non esistono più le mezze stagioni. E nemmeno le stagioni intere, verrebbe da dire, visto che il riscaldamento delle abitazioni ha reso il guardaroba pesante decisamente obsoleto, o comunque riservato solo alla montagna e a chi vive nei Paesi nordici, molto nordici. Ma a volte capita un inverno rigido e nevoso come quello che attualmente imperversa negli Usa, e allora il buon vecchio maglione norvegese oppure il cosiddetto Guernesey (il pullover di lana pesante con scollatura a barchetta dei pescatori dei mari del Nord, prodotto dall’omonima isola della Manica) torna comodo. Quello grosso e un po’ urticante, con i disegni a losanghe oppure con le renne genere Colin Firth in Bridget Jones.Insomma un capo più funzionale che elegante, ai limiti dell’eccentricità o del kitsch quando i disegni sono da Babbo Natale in pausa pranzo.
– Consigli per chi ama indossarli
Infatti, il maglione operato o liscio, tipo quello che oggi compare nelle collezioni uomo di brand come Gant o nella limited edition “Après Ski” di Massimo Dutti, non compare nei manuali di abbigliamento maschile prima della seconda metà dell’800, quando il week end in alta quota o lo sport all’aria aperta divennero radicalmente chic e i gentlemen adottarono in tali occasioni uno stile confortevole e protettivo, scoprendo le virtù dello sweater (il nome deriva dal fatto che la lana assorbe il sudore) e il calore del pullover a collo alto. Ma nelle occasioni che prevedono qualche forma di giacca, quasi tutte secondo il bon ton, il maglione non era e non è contemplato se non nella versione ultraleggera del gilet sottogiacca. Come sempre il punto di svolta si chiama Principe del Galles, ovvero quell’Edoardo che negli anni ’30 si innamorava di una pluridivorziata e reinventava la moda maschile divertendosi molto, per diventare più tardi re ma tristemente e solo per un anno. Fu lui a indossare con grande disinvoltura il pullover donatogli dalla veterana del tricot Maggie Bruce durante una visita ufficiale a Fair Isle, patria dello knitwear a disegni geometrici, modelli ancor oggi riproposti da marchi come Brooks Brothers o dai classici rivisitati da Burberry Brit. Il principe fu imitatissimo e a Fair Isle, da allora punto di riferimento per la maglia handmade (in tutto o in parte), ancora lo ringraziano per l’endorsement, ma il vero re della maglia è italiano.
MISSONI HA FATTO SCUOLA E PORTATO L’INTRECCIO JACQUARD NELL’EMPIREO DELLE TENDENZE, REGALANDOGLI UN POSTO D’ONORE SULLE PASSERELLE
È l’indimenticato Ottavio (Tai) Missoni, scomparso due anni fa, che negli anni ’80 nobilita il domestico cardigan, un capo fino a quel momento legato alla terza età nonostante il baldanzoso esordio durante la battaglia di Balaklava del 1854: lo indossava lord Brudenell, VII conte di Cardigan, ufficiale inglese che diede fama al suo morbido maglione abbottonato davanti con collo di pelliccia. Si racconta che lo prediligesse perché poteva indossarlo senza spettinarsi. Missoni toglie la pelliccia e reinventa il cardigan in mille colori e pesi diversi, facendolo diventare un cult del periodo, trasversale alle età e alle mode. Con i Missoni l’intreccio jacquard (un mélange di vari colori) entra nell’empireo delle tendenze e conquista un posto di rilievo sulle passerelle, rendendo più confortevole e rilassato non solo l’abbigliamento femminile, ma anche e soprattutto quello maschile. Quel successo ha fatto scuola e da allora alcuni capi in maglia compaiono sempre nelle collezioni degli stilisti, distinguendosi generalmente in due categorie: lo sweater leggero, spesso in cachemire a uno o due fili come il girocollo di Marchionne (sempre) o di Berlusconi (nel tempo libero), da portare negli ambienti riscaldati, oppure il maglione grosso più o meno disegnato, da considerare quasi un capospalla outdoor nelle stagioni di passaggio.
IL DOLCEVITA DEVE IL SUO NOME ALL’OMONIMOCELEBRE FILM DI FEDERICO FELLINI,IN CUI LO SFOGGIAVA MARCELLO MASTROIANNI
Insomma un sostituto della giacca, amatissimo dai più giovani e da chi non si adegua all’abbigliamento strutturato, un manifesto del casual e del pensiero creativo, come insegna l’archistar Renzo Piano, inseparabile dal suo pullover in cachemire con camicia button down. Più radicale, sostituisce anche la camicia, il dolcevita con collo alto in versione Steve Jobs, ma sta benissimo anche sotto la giacca come lo portava Marcello Mastroianni nel film di Fellini La Dolce Vita, cui la maglia deve il nome. Ciò che fa la differenza nella qualità sono soprattutto i filati: la lana merino, ricavata dal vello della pecora omonima, che si presenta molto arricciata, è la materia più robusta e calda nella quale può essere confezionato il pullover, la preferita dagli intenditori. Ma sono molto pregiati anche i filati ottenuti per pettinatura e non tosatura come quelli di capra (cachemire e mohair), lama (alpaca e vigogna), cammello e coniglio (angora), che possono essere mescolati alla lana di tosa. Forme e colori sono invece questioni di moda: ci sono periodi che premiano lo scollo a V, altri il girocollo, altri ancora il collo alto o a lupetto (che arriva a metà collo), ma sulla palette c’è una generale convergenza sui neutri come grigio, beige, marrone, blu, anche per le fantasie geometriche dei maglioni da pescatore. Stagioni passate hanno scelto il rosa e il lilla come novità tra i colori pastello, ma non hanno fatto scuola se non tra gli outsider.
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