Sesso, ritmo e anima

Ha visto muovere i primi passi di Jacko e fratelli. Ha lanciato Diana Ross, Marvin Gaye, Stevie Wonder. 50 anni fa portava il suo primo singolo in vetta alle classifiche americane. È la Motown. Un suono, uno spirito, un modo di far musica che forse ci ha cambiati tutti

È proprio vero che certe cose accadono soltanto in America. La Motown, la casa discografica più cool, la leggenda immortale del music business ma anche dello star system musicale, è nata più di 50 anni or sono all’ombra delle grigie fabbriche di automobili di Detroit, in una città che di glamour (almeno in apparenza) offriva di certo ben poco. Ve l’immaginate un fenomeno musicale della stessa portata nato in Italia a Mirafiori o a Wolfsburg, in Germania? Meglio lasciar perdere: davvero certe cose riescono, e come se riescono, soltanto agli Americani.

I sogni di una generazione, l’anima di una nazioneLa Motown, acronimo (appunto) di “Motor Town”, nasce ufficialmente il 12 gennaio del 1959 (si chiamava in origine Tamla Records) dalla mente avanguardistica del vulcanico e dispotico Berry Gordy, a suo tempo 30enne pugile senza speranza di sfondare in mezzo al ring. Ma con un fiuto solidissimo per l’impresa discografica, per la ricerca del talento per il quale aveva certamente un “radar innestato nel cervello”. Lui scovava il talento ma scopriva anche e soprattutto come farlo diventare un “piedistallo” su cui erigere carriere artistiche fantastiche.Le ambizioni di un uomo, i sogni di una generazione, l’anima di una nazione, il suono dell’America giovane. Questo slogan campeggia sull’home page del sito (versione “classic”) della Motown sintetizzando al meglio lo spirito e la capacità di sintesi – costume, moda, musica, suoni – che un’esperienza di fatto irripetibile, ancora oggi, ci sta regalando. Nacque in questo modo il Detroit Sound – mentre cresceva il successo anche della Atlantic Records di Ahmet Ertegun (quella di Ray Charles, e poi di Aretha Franklin) – musica eseguita sì da performer neri ma votata ecumenicamente alla massima integrazione, arrangiamenti e sonorità ballabili, ritmo che poneva l’accento su ogni quarto – anziché sul secondo o sull’ultimo – e cori dallo stile improvvisamente ringiovanito rispetto al doo-wop.I “segni” di tanta lungimiranza si sentono ancora, hanno contribuito a costruire le carriera dei miglior artisti soul, funk di lì a venire. Sentitevi (solo per citare qualche nome) quei geniacci di Sly and the Family Stone che pescarono a mani basse da qui e, per dire il vero, anche dal suono della storica rivale, la Stax Records di Memphis (quella di Otis Redding, per intenderci). O sentitevi i primi dischi degli Stones… vi basta?

Il successo. I successiIl primo successo di casa Motown, narra la leggenda musicale, fu nel 1959: You Got What It Takes di Mary Johnson che l’anno seguente arrivò nella top ten della Billboard 100.Ma più o meno 50 anni fa un’altra canzone uscita dalla fucina di Mr. Gordy – e del suo braccio destro Smokey Robinson (grandissimo performer, peraltro con la sua band, The Miracles) – aiutò in modo determinante a legittimare la leggenda Motown. Il singolo Please Mr. Postman delle Marvellettes irruppe nelle charts americane arrivando al numero uno, non soltanto della classifica R&B ma di quella pop. Ecco, siamo di fronte a qualcosa di epocale. Anni prima di quelle del folk rock o del punk, la musica diede già vita a una sua radicale rivoluzione. L’America, ancora chiusa e vilipesa dal morbo del razzismo, accettava e accoglieva un prodotto artistico “black”: quella musica che talvolta faceva muovere “il culo a tutti”, e a cui non si poteva resistere. Altro che ghetto, altro che musica del diavolo, altro che rituali canzoni da Chiesa; il pensiero stupendo di Gordy era proprio quello di proiettare quel sound, quel profumo, quelle sensazioni incredibili, quelle pulsioni, in ogni angolo del Globo. Ma ci fu anche un altro fattore, non di meno importante, a decretare il successo della Motown. Fu l’invenzione del singolo come chiave per accedere alle radio, alle Tv, ai locali dove si ballava. E anche questa fu una scoperta da accreditare a Berry Gordy che di hit single ne portò negli anni a seguire una quantità sterminata (se ne contano più di 100). Non si contano invece i fuoriclasse partoriti dalla Motown Records. Meglio “selezionarli”. A partire dai The Miracles, Sam Cooke (forse il vero fondatore del Soul) per passare ad autentici giganti come Marvin Gaye (forse il più rappresentativo di tutti e che ebbe anche l’ardire di sposare la sorella di Barry Gordy, Anna), Stevie Wonder (il più iǹ uente di tutti, se possibile), i Commodores di Lionel Richie (grande carriera anche da solista), la regina assoluta Diana Ross con e senza Supremes, The Temptations, Four Tops, il vulcanico Rick James. Senza dimenticare, naturalmente, i Jackson 5, in cui spiccavano i giovanissimi fratelli Jermaine e Micheal Jackson (oltre a Jackie, Tito e Marlon) che incisero diversi successi per la casa di Detroit prima di abbandonarla nel 1975 per la Epic Records e diventare The Jacksons. Lo stesso Michael Jackson incise i primi quattro album della sua discografica (che vendettero in tutto circa 16 milioni di copie, buttali via…), ma nel 1978 incontrò Quincy Jones che gli cambiò letteralmente la vita e lo fece traslocare alla Epic. E quello che è successo dopo, lo sappiamo tutti…

La parabola discendenteCome ogni favola, specie nel crudele mondo dello show biz musicale, c’è pure un finale, magari anche non felicissimo. Nel caso della Motown Records si può tranquillamente parlare di fisiologiche mutazioni. Anche sufficientemente indolori. La casa discografica di Barry Gordy nel 1972 lasciò infatti definitivamente Detroit e trasferì il proprio quartier generale Los Angeles. Mantenne lo status di casa indipendente fino a quando non fu acquisita dalla Mca-PolyGram. Successivamente cambiò di nuovo sede per approdare a New York e diventare, di fatto, la Universal-Motown Records Group. Un nome peraltro che oggi non ha smesso di sfornare con costanza talenti e anche notevoli successi (basti pensare che II dei Boys II Men del 1994 è diventato uno dei best seller di sempre di casa Motown). Ma di stupire e di rivoluzionare la musica, quello, un po’ sì.

GLI IMPERDIBILI Una selezione arbitraria, e ci mancherebbe, dei dischi Motown da avere

TCB – The Original Soundtrack From… (Diana Ross, The Supremes, The Temptations, 1969)Un disco particolare. Fu colonna sonora di un programma televisivo delle Supremes e dei Temptations, oltre che a lungo al numero 1. Tra i pezzi forti (I Know) I‘m Losing You dei Temptations e My World is Empty Without You delle Supremes.

Diana Ross – Diana Ross (1970) Il suo debutto omonimo dopo l’esperienza con Le Supremes, probabilmente il suo lavoro più personale alla Motown e forse il suo migliore di sempre. La risposta a chi sosteneva che Diana non era in grado di costruirsi una carriera al di fuori del Supremes. E che invece sarebbe stata fantastica.

Marvin Gaye – What’s Going On (1971)Quest’uomo ha scritto alcune delle pagine più sensuali e profonde della musica pop. Uno, tra i tanti dischi: What’s Going On. Disco che inizialmente la Motown (che voleva da Gaye ancora hit alla I Heard it Through the Grapevine) non voleva pubblicare. È diventato un best seller. E un’opera fondamentale.

Stevie Wonder – Songs in the Key Of Life (1976) Fa male scegliere solo un disco di un genio puro. Ma quello che contiene Passtime Paradise (campionata da Coolio a fine anni ‘90) e Isn’t She Lovely riassume al meglio la concezione della musica di Stevie Wonder. Usciva da un periodo personale molto difficile, e questo disco esorcizzò molte delle sue ossessioni.

The Commodores – Hot on the Tracks (1976) Grande successo commerciale, contiene hit fortissime come Just Be Close to You, Fancy Dancer e Let’s Get Started. Fu l’ultimo disco prima di un radicale cambiamento e un’apertura esplicita al pop che scontentò non poco i fan della prima ora.

Qualche curiosità

Ricorderete senz’altro il singolo U Can’t Touch This grandissimo successo del rapper MC Hammer del 1990. Ebbene il brano è strutturato su un campionamento di Super Freak, portato al successo da Rick James nel 1981 tra gli esponenti più bizzarri e creativi di casa Motown.

Qualcuno avrà ancora in mente forse, un tale Rockwell, l’interprete di un (peraltro dimenticabilissimo) riempipista dei primi anni ’80: Somebody’s Watching Me?, brano impreziosito niente meno che dalla voce di Michael Jackson. Ebbene quel tale Rockwell era in realtà Kennedy Gordy, figlio di Barry. Per completare le relazioni pericolose ricordiamo anche che la sorella di Rockwell, Hazel, è stata sposata con Jermaine Jackson.

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