Route 66: viaggio nell’American Dream

Da circa un secolo attraversa gli Stati Uniti da Est a Ovest incarnando il “Sogno americano”. È la Route 66, che dopo il declino degli anni 80, ora vive una seconda giovinezza

Attraversa otto Stati e tre fusi orari, è la Strada per eccellenza. Per molti è The Mother Road o America’s Main Street: è la mitica Route 66, 3.775 chilometri di pura strada, la quintessenza dell’American Dream. Longeva via di comunicazione del Nuovo Mondo, immortale segmento dei sogni e delle fantasie di chiunque. Questo taglio trasversale nel cuore degli Stati Uniti fu aperto ufficialmente l’11 novembre del 1926 quale prototipo del sistema di strade nazionali che si andava idealizzando all’epoca, sulle orme dei padri pionieri e prima di intuire che altre strade, altri tracciati e percorsi, avrebbero meglio gestito (non on the road, ma su un aeroplano) il trasporto di merci e di persone di un Paese così vasto.

La nascita della Route 66 si deve tutta al boom automobilistico degli inizi degli anni 20 e alla conseguente necessità di ampliare e migliorare i collegamenti stradali: non è allora un caso che gli imprenditori Avery Cyrus di Tulsa (Oklahoma) e John Woodruff di Springfield (Missouri) furono i principali promotori del collegamento fra Chicago a Los Angeles. Se si fossero volute vendere automobili, servivano strade adatte per esplorare il Paese in lungo e in largo, o meglio da Est a Ovest. A dirla tutta, però, il tracciato della Route 66 ha origini ancor più antiche: la leggenda vuole – e questo spiega perché l’arteria sia denominata anche Will Rogers Highway – che l’attore e giornalista Will Roger, dopo aver percorso da bambino quel tragitto con la sua famiglia, abbia pubblicizzato attraverso il suo giornale tutto l’itinerario. Accadeva più di 20 anni prima della sua apertura ufficiale e ancora oggi, a Clearmore, in Oklahoma, il piccolo Will Rogers Memorial Museum lo ricorda.

Persino il numero 66 non è casuale: Avery Cyrus lo propose perché era convinto che la ripetizione del 6, e la piacevolezza della pronuncia sixty-six, aiutasse la memorizzazione della nuova strada rendendola popolare. Uno stratagemma di certo intelligente, ma si deve ad altro la fortuna del percorso. L’arteria, che inizialmente collegava Chicago alla spiaggia di Santa Monica, in California, attraversando Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, Nuovo Messico e Arizona, divenne presto tra le preferite dei guidatori di mezzi pesanti, visto che gran parte del tracciato era pianeggiante. Fin da subito, la Route 66 associò la sua stessa esistenza all’idea del rilancio, della “seconda opportunità”, della scommessa in una vita migliore, ingredienti classici dell’American Dream: il motivo fu anche pratico poiché negli anni 30 i frequenti e rovinosi tornado (furono quelli gli anni delle tempeste di sabbia Dust Bowls) spinsero molte famiglie rurali degli Stati centrali a muoversi verso Ovest. A questi novelli pionieri, figli della Grande Depressione, venne persino dato un soprannome: Okies. La Route 66 fu assai generosa con loro: alcuni aprirono stazioni di benzina, altri piccoli negozietti e motel, altri ancora ristoranti che poi diventeranno i caratteristici diner. La strada dava lavoro e, al tempo stesso, plasmava il paesaggio: lungo il percorso sorgevano piccoli paesi e poi cittadine che formeranno il tessuto della profonda provincia americana.

E se durante la II Guerra mondiale, con i soldati americani impegnati nel Pacifico o sul fronte europeo, la Route 66, ormai completamente asfaltata, servì per spostare materiale militare, negli anni 50 – quelli della ripresa economica – tornò a essere ancora una volta la via dei sogni per chi si spostava dal cuore del Paese al mite clima di Los Angeles per qualche giorno di vacanza. Proprio grazie al turismo nacquero molte attrazioni commerciali lungo il tracciato: si trattava di edifici che oggi ci fanno sorridere, ma che appartengono alla storia recente americana e anche un po’ al nostro immaginario (parliamo di motel a forma di capanna indiana, shop a forma di budino, fattorie specializzate nell’allevamento dei rettili più bizzarri).

La Route 66 rinasce e con lei l’industria del fast-food: non è un caso che proprio a Springfield, in Missouri, aprì il primo drive-in e a San Bernardino, sempre lungo la Route 66, il primo McDonald’s. I decenni successivi non furono così generosi: negli anni 70 e 80 molti segmenti del percorso originale vennero deviati verso vie più veloci e le moderne autostrade a più corsie si presero la scena. Nell’85 la Route 66 venne persino privata del titolo di highway e retrocessa al ruolo di mera provinciale mentre oggi, in alcuni punti, è una by-way, il corrispettivo della nostra strada panoramica, un tratto che si percorre per il puro gusto di viaggiare. In seguito a necessari interventi di manutenzione e alla nascita di associazioni locali che volevano salvare il ricordo del sogno on the road, la Route 66 ha goduto di una seconda vita nell’ultimo decennio: riconosciuta per legge quale «simbolo storico della cultura di viaggio del popolo americano e di ricerca per ottenere una vita migliore», “la madre di tutte le strade” è stata finalmente inserita dal National Trust for Historic Preservation tra i tesori made in Usa da custodire e preservare. E possibilmente percorrere con lentezza.

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