Peggy Guggenheim Collection, eccentriche visioni

Alla scoperta del Palazzo Venier dei Leoni (Venezia), insieme dimora e raccolta d’arte della mecenate newyorkese Peggy Guggenheim. Il suo arrivo sul Canal Grande fu determinante per far apprezzare, anche nella Penisola, i movimenti d’avanguardia più innovativi della prima metà del ‘900

È nato con un’anima a stelle e strisce, ma a oggi è il museo di arte moderna più visitato del nostro Paese. E, tra gli altri enti e le pinacoteche di Venezia, dove è situato, sempre per numero di presenze annue – nel 2013 quasi 400 mila – è secondo solo a Palazzo Ducale.Picasso, Magritte, Dalì, Pollock, ma anche Mirò, Chagall, Klee e de Chirico: presso la Collezione Peggy Guggenheim di Palazzo Venier dei Leoni, lungo le rive del Canal Grande, sono circa 300 le opere in esposizione permanente di grandi artisti europei e americani dai primi del ‘900 alla metà del XX secolo. Capolavori – perlopiù espressioni del movimento futurista e di quello cubista, del Surrealismo e del Dadaismo – che fanno parte del patrimonio lasciato dalla mecenate a cui è dedicata la galleria, ex moglie del pittore e scultore Max Ernst e nipote del magnate Solomon R. Guggenheim, tanto da costituire una delle perle museali più preziose della omonima Fondazione. La qualità dei lavori conservati, l’aura carismatica che avvolge lla sua creatrice, il nome di prestigio dell’ente privato che la gestisce e l’interesse delle mostre organizzate per vivacizzare la struttura: non ha dubbi il direttore Philip Rylands, per il quale il successo del museo che guida dipende dal mix sinergico di questi fattori. Per quanto riguarda il primo elemento, in una rapida panoramica delle sale di Palazzo Venier, spicca l’attenzione riservata alla scultura, come attestano, per esempio, Maiastra e Uccello nello spazio di Constantin Mancusi o Arco di petali di Alexander Calder, così come L’angelo della città di Marino Marini e altre creazioni – frutto di prestiti e donazioni, tra cui L’albero dei desideri di Yoko Ono – che impreziosiscono lo spazio all’aperto dello Sculpture Garden, intitolato ai coniugi texani Patsy R. e Raymond D. Nasher e presente da fine anni ‘90. Sempre nel filone di depositi a lungo termine, che hanno via via arricchito l’offerta museale, da settembre 1997 sono ospitati 26 dipinti della collezione di arte italiana formata tra il 1949 e il 1953 dal collezionista Gianni Mattioli, e che annovera quadri di Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Giorgio Morandi e Amedeo Modigliani, mentre a ottobre 2012 sono state accolte 80 opere che spaziano dal movimento Color Field alla Pop Art, fino alla Minimal Art. Un importante lascito dell’americana Hannelore B. Schulhof e di suo marito Rudolph, che di Peggy Guggenheim ammiravano, condividendolo, l’amore per l’arte, la convinzione di dover scoprire e preservare capolavori del proprio tempo e la dedizione totale a questo progetto culturale. Già, perché la passione per il bello e la ricercatezza del particolare in grado di fare la differenza hanno accompagnato per tutta la sua esistenza la miliardaria Marguerite Guggenheim, detta Peggy (1898- 1979), tanto da farle affermare: «È il mio destino andare in cerca dell’impossibile. Sotto qualunque forma lo incontri, mi affascina. Sfuggo dalle cose semplici (…)». E: «Mi preoccupo di ciò che accadrà ai miei dipinti una volta che non ci sarò più. Mi sono sempre dedicata alla mia collezione. Una collezione significa un duro lavoro. Sono stata io a volerla e l’ho trasformata nel lavoro della mia vita. Non sono una collezionista. Sono un museo».

I Guggenheim di New York, Bilbao e Abu Dhabi

Figlia di Benjamin, magnate minerario che muore nel 1912 nell’affondamento del Titanic, e di Florette Seligman, discendente di una famiglia di banchieri, Peggy cresce circondata dal lusso e dalla cultura. Giovanissima, comincia a viaggiare in Europa; si ritrova prima nel cuore della vita bohèmienne parigina, e poi apre la sua prima galleria d’arte a Londra, nel 1938; l’inaugurazione avviene con opere di Jean Cocteau, seguita da una personale di Vasili Kandinsky. A ridosso della II Guerra Mondiale, ritorna per un breve periodo negli Stati Uniti e intanto prosegue con importanti acquisizioni, perché ha in mente un futuro museo dove potrà vivere e mostrare la sua collezione al pubblico. L’occasione arriva alle soglie degli anni ‘50, dopo il suo trasferimento a Venezia e l’esposizione alla Biennale nel 1948: il suo è il padiglione «più sensazionale di tutti», come riconosce la celebre giornalista e fotografa Lee Miller che immortala l’evento. Con un’innovativa raccolta delle “opere dell’arte non oggettiva”, Mrs. Guggenheim ha un ruolo decisivo nel far conoscere, anche in Italia, le avanguardie rivoluzionarie del primo ‘900, a cui affianca con lungimiranza quelle della scena artistica americana contemporanea. E, non da ultimo, realizza il suo sogno: sempre nella città lagunare rileva Palazzo Venier dei Leoni, lungo il Canal Grande. Peggy ristruttura l’edificio, all’epoca incompiuto, facendolo diventare sua dimora privata e luogo di esposizione della sua personale collezione. Nel 1969 la donna decide di donare quest’ultima, insieme all’abitazione, alla Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, creata da suo zio; l’atto viene poi formalizzato nel 1976 a condizione che le opere rimangano in Laguna. Accade tre anni prima della sua morte, a 81 anni: le sue ceneri vengono sepolte in un angolo del giardino del Palazzo.Proprio questa primavera il ramo francese dei Guggenheim ha intentato una causa contro i parenti newyorchesi, da cui appunto dipende la gestione della casa-museo, chiedendo la revoca della donazione fatta da Peggy alla Fondazione, ma il Tribunale di Parigi ha respinto la richiesta. Del resto, la collezionista americana era stata molto chiara nelle sue disposizioni testamentarie: a eccezione di alcuni pezzi che si sarebbero potuti spostare solo per esibizioni temporanee, la collezione, per suo esplicito volere, sarebbe dovuta rimanere fissa nel capoluogo veneto. «Si è sempre dato per scontato che sia la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore», sosteneva spesso. «Venire a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro». La passione viscerale per questa città e per l’arte, cui ha dedicato tutta un’esistenza, hanno finito per prevalere anche in questa occasione. E, a distanza di oltre 20 anni dalla sua scomparsa, la tenace Peggy ha tenuto il punto, continuando ad affermare, ancora una volta, la sua visione della bellezza, per lei imprescindibile da quello che riteneva suo luogo d’elezione.

Azimut/h – Continuità e nuovo

La mostra a cura di Luca Massimo Barbero intende essere un tributo al contesto, tornato di grande attualità, delle neoavanguardie, rievocando la galleria e la rivista fondate nel 1959 a Milano da Piero Manzoni ed Enrico Castellani.L’allestimento, attraverso opere e documenti, alcuni inediti, prende in considerazione la storia del gruppo tedesco Zero (1957- 1966) e quella di artisti internazionali legati al contesto culturale meneghino, che intorno a esso ruotavano e di cui condividevano l’aspirazione a ridefinire l’arte del Secondo Dopoguerra, sotto la spinta di una creatività più ironica e rivoluzionaria. FINO AL 19 GENNAIO 2015

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