La street art esce allo scoperto

Fino a cinque anni fa non veniva nemmeno considerata degna d’allacciare i calzari alle muse. Oggi la street art non solo è un movimento che ha valicato i confini dell’humus in cui è nata, ma è diventata anche terreno di caccia per i collezionisti

Chi cinque anni fa, faceva il diavolo a quattro per aggiudicarsi, alla stratosferica (così pareva) cifra di 25 mila dollari, un’opera originale di Os Gemeus, veniva visto dai collezionisti doc come uno stravagante spendaccione, con poco fiuto e tanta voglia di buttare i soldi. Venticinquemila dollari per dei graffitari? «Oggi quelle opere hanno superato il valore di 100 mila dollari: chi ha puntato su quell’investimento si trova un capitale quadruplicato, e sa che il valore cresce esponenzialmente ogni anno che passa», sottolinea Patricia Armocida, classe 1978, appassionata di cultura underground «fin da ragazzina, a inizi anni ‘90, l’epoca delle fanzine ciclostilate in bianco e nero». Oggi a Milano Armocida ha una galleria che porta il suo nome, ed è uno dei punti di riferimento ormai storici per questo filone dell’arte contemporanea («non chiamatela street art, è un termine che non ha senso, vuol dire tutto e niente», ammonisce).

PREZZI ALLE STELLEIl +400% di valore dei due gemelli brasiliani non è un caso isolato, ma l’indicatore di una tendenza che ormai quasi esula dal campo dell’arte intesa come creatività ed è entrata a pieno titolo a far parte dell’arte. Non ci si stupisce più, insomma, se il quartiere londinese di Haringey apre un contenzioso contro Sinecura Group, reo di aver staccato il pezzo di muro su cui Banksy ha realizzato l’opera dal titolo No ball games, per venderlo a un collezionista Usa (pare per circa 750 mila dollari). O se il prossimo dicembre un’altra opera dello stesso Banksy andrà all’asta con prezzo base di 350 mila dollari, e gli esperti prevedono che verrà battuta ben oltre il milione. Per le stesse cifre fanno a gara a Hollywood nel contendersi i lavori di Bambi, londinese, la più quotata delle street artist al femminile, i cui lavori sono un must nelle collezioni private dello star system. Un bengodi improvviso in cui gli italiani non sfigurano, tra superstar che ormai operano su un orizzonte mondiale come il marchigiano Blu e il bolognese Ericailcane, da Dem a 108, il duo romano Sten & Lex e la coppia milanese di Ortica Noodles, Bros, Rae Martini e decine di altri nomi − tantissimi quelli della “vecchia guardia”, che hanno iniziato a “imbrattare muri” con le crew urbane degli anni ‘80 e ‘90 − e fanno da vetrina a un ricchissimo sottobosco di giovani emergenti.

FENOMENO DI TRANSIZIONEPerché il business che riguarda writers e street artists – ci perdoni la gallerista Armocida, ma il termine funziona – è ormai a più zeri e, soprattutto, globale. Si è ormai pienamente verificata, insomma, quella intersezione tra mondo under e mondo over-ground raccontata da Marco Tomassini, uno degli studiosi italiani del fenomeno, nel suo Beautiful Winners. La street art tra underground, arte e mercato (Ombre Corte), che evoca le dinamiche che hanno fatto esplodere il fenomeno e prende spunto, per il titolo, da uno dei primi eventi che hanno portato alla luce del sole in Italia il mondo della street art: la mostra collettiva Beautiful Loosers organizzata nel 2006 dalla Triennale di Milano, che ha mostrato al grande pubblico il meglio della creatività alternativa d’Oltreoceano. Dando il là, di fatto, anche al collezionismo. «La prima decade del 2000 è stata fondamentale, in Italia, per questo passaggio dall’underground alla galleria, e cioè al mercato», spiega Tomassini, «segnando l’avvento di un fenomeno di massa. La street art comincia a essere decodificata dal pubblico mainstream, anche con alcune generalizzazioni che compromettono un po’ il “purismo” di questo settore, una commistione tra le due linee originarie: il writing, che è l’evoluzione del lettering, della calligrafia, che si sviluppa dalla metà degli anni ‘80, e il filone iconografico, che invece ha origine nelle subculture dei surfisti, degli skaters di fine anni ‘70, un’arte nata con lo scopo pratico di personalizzarsi con un disegno la tavola dello skate, e portata poi sui muri». A fine anni ‘90 questi due mondi si contaminano, e l’avvento del Web fa il resto.

NOMI DA COLLEZIONE: I TOP DEL LISTINO

STREET ART STORY

DA NEMICA AD ALLEATA Non ci vuole molto perché avveduti mercanti d’arte e galleristi si accorgano della forza visiva e delle potenzialità economiche di questo mondo creativo, e così comincia il grande gioco. E, in qualche modo, l’istituzionalizzazione di quest’arte, che comincia a passare attraverso i listini di potenti gallerie e case, da Lazarides a Londra, da Bonhams a New York e Londra, alla Soze Gallery di Los Angeles.«E così hanno ammazzato la street art», osserva critico Michele Bonuomo, direttore del magazine Arte, ottimo punto di osservazione del panorama artistico e di mercato. «È una forma artistica che nasce come contestataria, indipendente, fuori e contro l’accademia, in strada appunto. Anonima e quasi sempre illegale. Il colpo di genio del mercato, soprattutto americano, è stato assorbire questa energia antagonista e trasformarla in una macchina da soldi. Il percorso di Keith Hering è esemplare. Questo passaggio ha, a mio parere, snaturato questa forma d’arte. Tutto quel che è seguito, e che si produce ora in Occidente, è puro manierismo. Diverso il discorso per altri contesti, per esempio il Medio Oriente, o il Sudamerica, dove la street art ha ancora la sua verginità, è ancora una forma che ha un messaggio da esprimere».

IL BRIVIDO DELLA SCOPERTAIl mercato pare non fare caso all’impoverimento del messaggio, e compra senza star troppo a rifletterci su. Perché oggi si può ancora fare un affare con poco. «Il bello di questo mercato è l’essere accessibile praticamente a tutti; è un mondo dove puoi sentire, anche investendo poco, il brivido della scoperta, e dell’investimento che vedi crescere di anno in anno», conferma Giacomo Grandini, fondatore a Lugano, insieme a Valeria Donnarumma, della Ego Gallery, interessante snodo svizzero per il settore. Listini alla mano, Grandini spiega che il primo passo del novello collezionista è quello delle stampe e delle litografie numerate: con investimenti dai 40 ai 400 euro ci si possono aggiudicare pezzi interessanti, in attesa che fruttino. Secondo step: i disegni. Qui bisogna mettere a budget dai 300 ai 1500 euro. Per le tele, invece, si comincia a parlare di cifre da vero mercato, con un prezzo minimo di 500 euro fino ai 6-10 mila euro di una “firma” già di livello, «e poi ovviamente si sale, si sale fino ai big del settore, ormai stabilmente sopra i 100 mila euro e più». A dare lo spin importante al mercato è la risonanza che questi artisti trovano sui mezzi di comunicazione mainstream, ma soprattutto il riconoscimento delle istituzioni artistiche. Che significa cataloghi, approfondimenti critici, bibliografia e letteratura dedicata e certificata da istituzioni come la Tate Gallery di Londra, il Moca (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles, l’esposizione-mercato di Art Basel e la Biennale di Venezia, che da qualche anno dà spazio a queste forme espressive e proprio nell’edizione in corso ospita una sezione dedicata.

E I BRAND SI INSINUANONon solo. Il linguaggio “street” diventa uno strumento appetibilissimo per le multinazionali in cerca di nuovi linguaggi capaci di catturare un pubblico giovane. E finché è la Nike a ingaggiare graffitari più o meno celebri per disegnare o promuovere le proprie linee di streetwear, siamo nella normalità. Più interessante notare come anche un marchio top del lusso come Louis Vuitton abbia avviato collaborazioni con stree-tartists come Eine, Retna, il franco-tunisino El Seed, gli stessi Os Gemeos. «Molti di quelli che fino a 10-15 anni fa erano graffitari ora sono inseguiti da agenzie di comunicazione e case di moda per i ruoli di art director e creative director», conferma Emiliano “Ninja1” Fava, che con altri tre ex graffitari della sua crew ha fondato sette anni fa Truly Design, agenzia di comunicazione che mette appunto al servizio di grandi aziende – da Fiat a Samsung a Salewa – i linguaggi creativi della street art. «Un mercato che in Italia trova ancora molta diffidenza, ma basta farsi un weekend a Los Angeles per capire che la comunicazione sta andando in questa direzione, la street art è ormai entrata nell’immaginario quotidiano della middle class». Che fino a qualche anno fa si inferociva trovandosi uno scarabocchio sul muro di casa. Mentre ora è disposta a sborsare migliaia di dollari per appenderselo in salotto.

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