Bob Marley, voce eterna del reggae

30 anni fa la scomparsa del profeta di un genere musicale che non è mai invecchiato ma si è riprodotto e aggiornato di continuo. Non solo un musicista, ma una figura politica e religiosa presa a riferimento da intere generazioni

Bob Marley, nato Robert Nesta Marley il 6 febbraio 1945 a Nine Mile, Giamaica, moriva esattamente 30 anni fa, a Miami. A ucciderlo un melanoma contratto in un banale incidente (giocando a calcio, una delle sue grandi passioni) e degenerato per non essere mai stato curato in ossequio alla sua fede religiosa. Con lui scompariva una delle figure più carismatiche che la scena musicale abbia mai conosciuto.

Il nome di Bob Marley è indissolubilmente legato a un genere che, quasi in punta di piedi, ha rivoluzionato la musica, ha influenzato – e tuttora lo sta facendo – una quantità infinita di artisti. In piena era punk, Marley, all’apice del successo ebbe il merito di “esportare” il reggae – linguaggio musicale derivazione diretta dello ska e del rocksteady, ma contenente mille altri elementi – fuori dalla Giamaica con i suoi Wailers (band in cui militava anche il celebre Peter Tosh).Anche in Italia il seguito era divenuto enorme, lo dimostrano i due leggendari concerti di Milano e Torino del giugno 1980. Marley non fu unicamente un musicista e una voce particolarissima, fu uno dei veri personaggi, anche politici, (e lo consideriamo un merito, anche di questi tempi… ) della scena musicale. A lui è riconosciuto anche lo status di autentico predicatore, un uomo in grado catalizzare un seguito enorme anche in Africa, tanto che nel 1980 fu invitato alla celebrazione ufficiale dell’indipendenza dello Zimbabwe. La sua convinta adesione al movimento Rastafariano (nato e ispirato alla fede religiosa cristiano-ortodossa dell’Etiopia), poco prima degli anni 70, il caratteristico look con i dreadlocks, la poetica di cui è profondamente intrisa la musica, dolente spesso ma mai tediosa, sono la cifra di un simbolo autentico. Da cui, negli anni, gente come Clash, Eric Clapton, Police, Massive Attack, Ben Harper hanno “rubato”, chi più chi meno, qualcosa. In effetti, il suo reggae era un mosaico unico di suoni e atmosfere, cucito da una voce fragile solo in apparenza. Pur in una breve carriera discografica i successi sono numerosissimi. Da quelli “nei” Wailers, Catch a Fire e Burnin’ a quelli “con i” Wailers, ossia il brano No Woman No Cry (dall’album Natty Dread) e gli altri lp, via via Rastaman Vibration, Exodus, Survival, fino a Uprising del 1980 che, oltre all’hit ballato da mezzo mondo Could You Be Loved, conteneva anche Redemption Song una delle sue più belle e commuoventi composizioni. Ascoltarla oggi (esistono certe stupende cover tra cui quella di Joe Strummer e Johnny Cash) emoziona ancora.

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