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Gusto

Giancarlo Perbellini, real cooking

Un veneto che nasce nella pasticceria di famiglia ma che, fedele al suo motto “Il gusto non ha traguardi”, alla soglia dei 50 anni lascia il ristorante dove ha conquistato le due Stelle Michelin a Isola Rizza per aprire in centro a Verona l’innovativo Casa Perbellini, per sole 24 persone, e cominciare a lavorare come “apprendista” nella sua pasticceria Dolce Locanda.Un percorso quello di Giancarlo Perbellini sempre ricco di sfide dagli esordi come cuoco al Marconi e al 12 Apostoli a Verona, poi al San Domenico di Imola e ancora in Francia.

Oggi i locali a Verona sono addirittura sei, con diversi soci, ovvero la Pizzeria Du de Cope, la Locanda Quattro Cuochi, Al Capitan della Cittadella e il Tapasotto più, appunto, a due passi dall’Arena la Dolce Locanda e, infine, Casa Perbellini per soli 24 coperti, serviti personalmente da lui. «Un cuoco artigiano», a sentir lui, ma che nel frattempo ha in cantiere nuovi progetti, mentre collabora anche a Hong Kong con Dining Concepts e offre consulenza per i prodotti alla famiglia Rana, per la quale ha inoltre curato l’apertura del ristorante newyorkese.

Cosa l’ha portata a diventare uno chef?
Di certo il nascere in una famiglia di pasticceri e con un nonno (Ernesto Perbellini, ndr) così importante mi ha condizionato e spinto a pensare che avrei lavorato in cucina. Dal nonno ho preso soprattutto quanto lui faceva al di fuori della pasticceria: il suo mestiere principale era in realtà fare il cuoco, era uno chef a domicilio ante litteram per catering grandi e piccoli. Oggi, non a caso, mi definisco cuoco per passione, ma anche apprendista pasticcere…

La pasticceria è comunque sempre molto presente per tanti motivi nella sua cucina. Come influenza i suoi piatti?
La pasticceria richiede un rigore e una precisione che nel resto delle preparazioni “salate” non sono così stringenti, ma è anche vero che due pasticceri che preparano un dolce con le stesse regole ottengono due prodotti spesso diversi. Quindi, non sarei drastico nel separare i due mondi. Ho il rigore della pasticceria nel Dna e l’ho portato in sala con il mio piatto forse più famoso, il wafer al sesamo con tartare di branzino, caprino all’erba cipollina e sensazione di liquirizia. L’idea di un biscotto salato al centro di un piatto dimostra che la pasticceria ha un ruolo importante nella mia cucina, non solo a fine pasto.

L’Italia ha un patrimonio enorme di vini dolci, ma si consumano sempre meno, e gli stessi dessert nei ristoranti di livello spesso sono un appendice o poco più del pasto. Da lei è diverso, come mai?
È vero che i vini dolci sono più difficili da proporre in Italia per motivi culturali, ma anche proporli sempre e solo a fine pasto è un errore. Incoraggio i nostri sommelier a inventarsi abbinamenti di vini dolci o abboccati con alcuni dei miei piatti salati. D’altra parte anche sui nostri dessert, che hanno un contenuto di zucchero molto ridotto rispetto a quello di altri miei colleghi, i vini che si possono abbinare non sono sempre quelli dolci tradizionali. Penso a certi Riesling tedeschi che funzionano bene, anche se con residuo zuccherino, su piatti salati come il foie gras con caramello di peperone e lime, per il quale però proponiamo anche un Passito.

Oggi lavora a Verona, in precedenza ha avuto un’esperienza in provincia: quali differenze riscontra tra il pubblico di Isola Rizza e quello veronese?
La differenza principale sta nelle modalità con cui ci conoscono più facilmente in città e in quanto spesso tornano. Siamo passati da un campo da calcio a Isola Rizza a un corridoio in centro a Verona, da 1.500 metri quadri a 150: cambia il modo di pensare a un locale e il modo in cui ci si affeziona. In centro a Verona rifacciamo la linea a ogni servizio, lavoriamo senza congelatore: non è cambiata la cucina come pensiero, ma il mood e l’atmosfera sì, e di conseguenza anche i nostri clienti tornano più spesso.

La grande novità di Casa Perbellini è il cucinare davanti ai clienti e servirli direttamente…
È un’idea che avevo già due anni fa, ma non è stato possibile realizzarla a Isola Rizza. Volevo un modello diverso e nuovo rispetto al grande ristorante con i suoi riti fissi e i suoi schemi, affascinanti certo, ma nei quali cominciavo a sentirmi troppo imbrigliato. Anche la figura dello chef mi sembrava troppo distaccata dalle persone; volevo far capire alla gente che per preparare un piatto occorrono sei mani e un giorno di lavoro, facendogli vedere da vicino i vari passaggi anziché far calare il cibo dall’alto dalla cucina. Il risultato è che il cliente si sente a casa ed è libero di alzare la mano se ha un problema, siamo lì davanti a lui.

Dato che è già operativo dove tutti vorrebbero essere adesso, ossia Hong Kong, qual è la città straniera dove le piacerebbe aprire un altro locale? Il posto dove vorrei misurarmi è New York. Vorrei capire come mai nessuno è ancora riuscito a essere puro “italiano” nella Grande Mela, senza cambiare qualcosa per assecondare il gusto americano. Gli statunitensi sono un grande popolo, forse sopravvalutato nella sua capacità di conoscere le radici della nostra cultura, ma anche sottovalutato dal punto di vista economico e, soprattutto, degli equilibri economici. Per l’Italia gli Usa contano ancora tantissimo, nonostante la fuga a Est di interesse e capitali.

Dove prende ispirazione per i piatti? Soprattutto dalle stagioni; come da tradizione italiana, da tanti anni i prodotti di stagione sono sempre al centro della nostro proposta. Per esempio, i primi caldi ci portano i piselli e le fave, e questo mi attiva la fantasia per piatti freschi con croccantezze e profumi particolari.

Che ruolo ha nell’universo Perbellini la pasticceria Dolce Locanda?
È centrale, perché sono nato nella pasticceria di famiglia ed è stato naturale aprirne una mia. Qui nascono i miei “bovolone”, le offelle, le colombe. Soprattutto è dove lavoro come apprendista e non come chef! Alla Dolce Locanda sono giovane, ho voglia di imparare mettendo in pratica gli insegnamenti del nonno, lavorando sul fresco ed evitando prodotti a scadenza. Accanto a me ho Giulia Cerboneschi e Marco Pion, che mi ha seguito da Isola Rizza: sono loro a produrre dolci e dessert per tutti gli altri locali.

IL DIVERTIMENTO AL LAVOROLO STRUMENTO PERFETTO
Anni fa avrei risposto gli antipasti, oggi dico i primi, in particolare i risotti. Prima non potevo, ma oggi a Casa Perbellini, mentre prendo la comanda al tavolo, gli antipasti partono e io arrivo in cucina per i risotti facendo il capo partita. È davvero un ruolo divertente e stimolante.Adoro le fruste, sia in pasticceria che nel resto delle preparazioni. È uno strumento che ha dell’alchemico per come cambia consistenze e proprietà degli alimenti.

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Lo chef all'opera nel suo ristorante, Casa Perbellini, dove cucina e poi serve personalmente i clienti