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Sostenibilità

Diversity & Inclusion: 10 step per l’equità in azienda

L’attenzione delle aziende verso l’ambiente insegna: gli investimenti green stanno premiando chi li sceglie. Il passo successivo è ora quello di un’inclusione più “sostenibile”, capace di andare oltre le categorie sensibili più tradizionali. Ecco come

Nell’ultimo decennio il mondo del lavoro è stato investito da cambiamenti irreversibili. Globalizzazione ha significato l’apertura verso nuovi mercati, la circolazione di idee e talenti, ma ha anche radicalizzato le sacche di sfruttamento, incentivato la delocalizzazione e il trasferimento delle relative economie, tutto in tempi troppo rapidi perché potessero generarsi nuovi equilibri. Il progresso tecnologico ci proietta nel futuro, oggi si discetta di riconoscimenti biometrici e intelligenza artificiale, ma l’occhio che guarda oltre non vede ciò che gli accade accanto: fasce sempre più nutrite di popolazione restano ai margini di questo sviluppo. E poi c’è stata la pandemia, che ha imposto uno stop a tutto e in qualche modo ha richiamato il mondo produttivo alle proprie responsabilità; per esempio, provare a gestire le transizioni complesse in corso e tradurle in strategie industriali.

Verso un’ecologia dell’inclusione

Le fasce cosiddette “fragili” oggi sono ben visibili e hanno stimolato la riflessione sui valori che una società civile debba difendere e incarnare. Le logiche green insegnano: gli investimenti in ottica ecologica hanno premiato. Il passo successivo ci porta necessariamente verso un’ecologia dell’inclusione, l’impegno cioè alla non discriminazione e a una giustizia sociale che però veda protagoniste non più soltanto le categorie tradizionalmente considerate “sensibili”, come genere, religione, identità sessuale, razza, ma anche parametri sociodemografici come età, la poca scolarizzazione, le disabilità, l’appartenenza a minoranze culturali, il basso reddito. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in occasione della presentazione alle Camere, lo ha detto chiaramente che il Pnrr «Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare».

Diversity & Inclusion: il ruolo delle aziende

Questo articolo è tratto dall’inserto “Diversity & Inclusion – Mai più senza” di Business People giugno 2021. Per leggere di più e approfondire le case history di L’Oréal, P&G, ViacomCbs e AXA Italia, clicca qui

La politica, dunque, si è attivata in senso inclusivo ed equo. E le aziende? I grandi gruppi di tradizione anglosassone hanno da tempo messo in atto iniziative sotto l’egida della Diversity & Inclusion; soprattutto Oltreoceano i problemi razziali sono all’ordine del giorno. In Intel ad esempio, il 50% del premio annuale per gli executive proviene dal raggiungimento di specifici obiettivi in termini di inclusione. Un ulteriore 7% viene aggiunto all’ammontare del bonus se il 40% delle assunzioni in azienda riguarda donne o appartenenti a minoranze e se il loro tasso di fidelizzazione risulta pari a quello degli asiatici e dei bianchi. Amazon, invece, ha investito 700 milioni di dollari per dare a 100 mila impiegati formazione in temi di sanità, machine learning, robotica, informatica. L’adesione è su base volontaria e l’obiettivo è il reskill di un terzo della forza lavoro aziendale. Fondamentale è sviluppare a livello dirigenziale il mindset giusto: il rischio sempre in agguato, infatti, è il cosiddetto tokenism, un’inclusione solo superficiale che serve a scongiurare accuse di discriminazione, ma non supportata da una reale volontà di revisione delle politiche aziendali in termini di flessibilità e adattabilità ai diversi talenti. Si tratta di una pratica purtroppo frequente, denunciata anche dal World Economic Forum, che addirittura dichiara le politiche di Diversity & Inclusion destinate a fallire, soprattutto in quanto concepite secondo gli standard delle culture dominanti. Diverso sarebbe parlare di appartenenza, dignità, giustizia, concetti che non presuppongono l’idea di altro da noi stessi (come invece sottende l’inclusione) ma, al contrario, fanno appello a valori che appartengono all’uomo universale.

Una to do list per l’inclusione

Il Covid è stato un acceleratore per tutti i processi già in atto, compresa l’esasperazione delle disuguaglianze; e parallelamente ha stimolato la ricerca di nuove modalità lavorative e favorito la disponibilità ad adottare soluzioni flessibili. Temi forti come engagement, time management e valorizzazione degli individui saranno sempre più determinanti nelle politiche aziendali, che si svilupperanno secondo direttrici definite, che possono essere così riepilogate:

  1. La forza lavoro oggi è transgenerazionale. Dai Boomer alla Generazione Z, le aziende dovranno studiare come combinare efficacemente l’unicità di ciascun talento, le loro esperienze di vita, modelli culturali, skill e obiettivi. Servono strategie mirate a esaltare le abilità, ma nel contempo in grado di creare una lingua comune che favorisca il senso di appartenenza alla stessa comunità lavorativa.

  2. Più che di diversità, si parlerà di equità, perché la discussione non può prescindere dal riconoscimento delle differenze e delle barriere, e promuoverne la consapevolezza a tutti i livelli aziendali significa porre le basi per il loro appianamento non con politiche calate dall’alto, ma attraverso il cambio di atteggiamenti e sforzi comuni che coinvolgano tutta la comunità.

  3. Inclusione significa ridisegnare le economie di funzionamento aziendali, dagli organigrammi al linguaggio, codici di comportamento, workflow e così via, con opere di mediazione complesse che non si possono improvvisare. Il Chief Diversity Officer sarà una figura chiave con competenze specifiche, in grado anche di prevenire costosi contenziosi legali. Aziende come Facebook e Zoom ce l’hanno già.

  4. Un’attenzione particolare dovrà andare alla comunicazione interna delle iniziative per l’inclusione, almeno è quanto consiglia McKinsey, visto che il 61% degli impiegati risponde negativamente se interrogato sull’impatto di politiche inclusive all’interno della propria azienda. Una maggior trasparenza in questo senso aumenta la percezione positiva dell’ambiente di lavoro e stimola la discussione tra colleghi.

  5. Per conseguire risultati reali, è necessario promuovere una cultura dell’inclusione attraverso percorsi di formazione. Nel 2020 le aziende hanno dovuto inventare occasioni di socializzazione per aumentare l’engagement dei gruppi di lavoro e contrastare la forza centrifuga innescata dal lockdown. Diversi casi studio, tuttavia, hanno evidenziato che laddove la partecipazione veniva imposta i risultati sono stati poco soddisfacenti se non negativi.

  6. Superare la logica delle quote: assumere personale da gruppi e minoranze per riempire degli spazi e tacitare le critiche non aiuta. La diversità può diventare un valore aggiunto solo se inserita in un contesto realmente privo di pregiudizi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedica 10 milioni di euro all’eliminazione delle discriminazioni tra uomo e donna, dal pay gap alle opportunità di carriera, dalla tutela della maternità a una cultura della paternità consapevole.

  7. Sempre più l’attività lavorativa dovrà inserirsi in una più ampia visione di equilibrio e benessere del lavoratore, anche attraverso l’offerta di percorsi di supporto psicologici o per lo sviluppo dei talenti. Potrà essere attuato attraverso policy strutturate, ma anche con lo sviluppo di una maggiore empatia nei rapporti tra colleghi e management, un linguaggio più attento alle diverse sensibilità, che dia valore alle diversità, senza appiattirle.

  8. Inclusione non significa omologazione: sarà importante prevedere modalità perché le singole specificità possano essere espresse e riconosciute. In particolare, sarà necessario nelle discriminazioni riguardo all’identità di genere, tema che ancora risente di tabù sociali, culturali, religiosi. Negli Stati Uniti si è osservato – ad esempio – che i lavoratori di sesso maschile sono restii a farsi coinvolgere nei programmi di supporto alle identità di genere. La soluzione è promuovere dei gruppi di discussione solo maschili, che possano fungere da traino per gli indecisi o per chi ancora risente di pregiudizi più o meno consci.

  9. Tutto questo non sarà possibile senza una diversa concezione anche delle architetture aziendali, perché le discriminazioni si realizzano anche nell’organizzazione degli spazi, dall’eliminazione delle barriere per l’accesso ai disabili alla promozione di toilette gender-free.

  10. Infine, nonostante una parte degli attuali lavoratori in remoto tornerà in ufficio, lo smart working è destinato a rimanere. Tuttavia, il 2020 ha evidenziato come le donne ne abbiano fatto le spese, poiché la suddivisione dei carichi domestici non è stata paritaria. Sarà inevitabile per le aziende pensare a soluzioni che favoriscano la riduzione del gap di genere anche nelle case dei dipendenti.

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