Intelligenza artificiale: l’Europa investe nei supercomputer

Il modo migliore per affrontare la complessità? Elaborare – il più velocemente possibile – miliardi di dati. Da qui l’avvento dei supercomputer, come il Leonardo di Bologna, a cui possono avere accesso le pmi e che permettono di monitorare gli investimenti extra Ue

Europa supercomputer© Getty Images

Chiamiamola la grande sfida alla complessità. Per rispondere alle emergenze che ci si stagliano davanti sempre più terrorizzanti non si può non partire dai numeri. Avere macchine in grado di elaborare miliardi di miliardi di dati al secondo restituisce un vantaggio geopolitico che altrimenti l’Europa rischia di dover cedere a Stati Uniti e Cina, storicamente in prima fila in quasi tutti i campi dell’innovazione tecnologica. Per affrontare la complessità si può solo aumentare la velocità. Con supercalcolatori e computer quantistici.

Questi ultimi non ragionano in 1 e 0, ma in qubit, ovvero quantum bit, l’unità elementare di informazione quantistica. I qubit sono una qualunque possibile combinazione di 0 e 1 in sovrapposizione: potenzialmente infinite combinazioni. È un po’ come immaginarsi una partita di calcio dove si gioca con mille o 10 mila palloni, in cui avvengono tante azioni diverse allo stesso tempo. Più i qubit aumentano, più lo spazio delle possibili combinazioni cresce. Ciò significa che questo tipo di macchina è potenzialmente in grado di replicare qualunque cosa riguardi la realtà, incluso il cervello umano. Formato da circa 1.500 centimetri cubici, è un concentrato impressionante di intelligenza che ci permette di elaborare cose che non comprendiamo e che fanno parte anche del metafisico. In questo momento, anche con i supercalcolatori attuali più veloci, siamo in grado di comprendere 30 di quei 1.500 centimetri cubici.

La rete di supercomputer dell’Europa dedicati all’Intelligenza Artificiale

Per questo sta nascendo la rete europea di supercalcolatori dedicati anche all’intelligenza artificiale. Tre di essi oggi, e presto cinque fra i primi dieci al mondo (c’è anche Leonardo del Cineca di Bologna) sono proprio in Europa. Supercomputer alimentati da basi di dati che sono il frutto di un lavoro comune: la Commissione Ue li chiama Common data spaces. Basi di dati che rispettano il copyright, non aggregando contenuti e informazioni di altri senza consenso. La Commissione Europea ora ha presentato due iniziative per metterli a sistema. La prima deve permettere alle piccole e medie imprese impegnate nell’intelligenza artificiale di accedere all’uso dei supercomputer comunitari. La seconda è legata alla sicurezza economica. L’esecutivo comunitario vuole meglio monitorare sia gli investimenti in entrata che quelli in uscita. Lo sguardo corre al pericolo Cina. «Per sviluppare l’intelligenza artificiale è necessaria molta potenza di calcolo», ha spiegato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager. «Vogliamo quindi dare alle imprese e alle start up un accesso privilegiato alla rete di supercomputer europei».
Concretamente la Commissione europea ha proposto di modificare un regolamento del Consiglio risalente al 2021 e di usare a favore delle startup i fondi Horizon Europe in modo da attivare investimenti pubblici e privati per 4 miliardi di euro entro il 2027. Non si tratta di finanziamenti a pioggia, che per l’alta tecnologia non servono a nulla, ma di una serie di misure mirate a generare una spirale positiva di fiducia e investimenti nell’intelligenza artificiale. Questo si snoda da un lato attraverso il potenziamento dei supercalcolatori UE e la messa a disposizione di reti di innovazione alle startup e alle imprese. Dall’altro, attraverso investimenti nello sviluppo di mega algoritmi di intelligenza artificiale di ultima generazione (quella generativa) in campi di vitale interesse pubblico e industriale: salute, energia, trasporti, cambiamento climatico, robotica, aerospazio e tanti altri. Si sta tentando di creare le condizioni per una replica di quanto accaduto su Internet.

Ecco perché non sono solo i big del web a essere attivi direttamente sull’AI ma anche alcune società specializzate, che hanno diversi gradi affiliazione. Le case madri forniscono l’ambiente tecnologico nel quale poter velocemente sviluppare e testare l’azione in campo AI, che le altre mettono a terra operativamente. D’altronde l’intelligenza artificiale ha bisogno di dati, di enormi potenze di calcolo. Cose delle quali i big del web dispongono in abbondanza. «Si pensi al linguaggio e a ChatGpt. Agire sul fronte del linguaggio significa agire sulla capacità di comprendere delle regole complesse della semantica e sintassi e replicarle rapidamente ed efficacemente. Lo stesso vale per un’immagine. La generazione non è casuale, ma la rappresentazione di forme e colori che in determinati modi ci permette di attribuirle un significato. Un’AI di questo tipo è roba per algoritmi generativi che richiedono miliardi di miliardi di calcoli. Ma anche le startup possono farcela. Il caso dell’italiana iGenius, attiva nel campo dell’intelligenza generativa, è emblematico e fa sperare che altre startup possano usufruire di supercomputer come il Leonardo di Bologna, così come pure il MareNostrum di Barcellona o il Lumi finlandese», spiega spesso Roberto Viola, direttore generale per le politiche digitali della Commissione europea.

Perché l’Ue spinge sui supercalcolatori

Ma i supercalcolatori hanno infinite ricadute applicative che spiegano il motivo per il quale l’Europa vuole spingere su questo campo. Uno degli esempi si chiama urgent computing ed è la grande sfida della comunità internazionale esacerbata dal Covid. Come trovare una risposta farmacologica in pochi giorni in caso di pandemie? Come affrontare gli effetti di un’epidemia su larga scala trovando una sintesi chimica efficace in grado di bloccarla o circoscriverla? L’obiettivo è anche quello di trovare il miglior compromesso tra le prestazioni e il consumo energetico, visti i limiti Ue di un megawatt di consumo per calcoli così sofisticati. Il supercalcolo e la meccanica quantistica possono avere potenzialità incredibili anche sulla difesa informatica rivoluzionando completamente gli scenari delle “guerre ibride” del futuro. La Cina sta volando sulla tecnologia di crittografia. A giugno 2020 sulla rivista Nature apparve un articolo suggestivo. Un team di 24 scienziati cinesi descrisse con successo la trasmissione di una «chiave segreta» per crittografare e decifrare i messaggi tra un satellite e due stazioni di terra situate a circa 700 miglia di distanza. Il metodo arruola il cosiddetto “entaglement quantistico”. Il team ha dimostrato che il sistema «produce un canale sicuro resistente agli attacchi». Perché usarla nella cyber-security? «Perché è un modo di trasferire informazioni in sicurezza», dice Stefano Rebattoni, a capo di Ibm in Italia. L’idea è usare i fotoni, particelle di luce, nella tecnologia di crittografia che permette di dire a chi riceve un messaggio se qualcuno ci ha messo il naso. Con i fotoni è possibile capire se qualunque oggetto è stato modificato, quindi anche un bit. Il Qubit permette di capire se un messaggio è intercettato perché non si può clonare uno stato quantistico. Sembrano scenari avveniristici, non lo sono. Il tema sta diventando rilevante anche per il consumatore finale. Uno degli ultimi report Ibm sottolinea come il costo per furto di dati continui a crescere anche in Italia e molte organizzazioni aumentino i prezzi dei loro prodotti finali proprio per far fronte ai danni subiti. Incidendo, dunque, sull’inflazione.


Articolo pubblicato su Business People di aprile 2024. Scarica il numero o abbonati qui 

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