Leadership, in Italia il potenziale femminile resta ai margini

Le donne studiano di più, si laureano meglio e creano imprese più sane della media. . Eppure, restano ai margini delle leve di comando: numeri, cause e scenari di un paradosso che costa molto caro al Paese

Leadership, in Italia il potenziale femminile resta ai margini© Getty Images

In Italia una donna su due non lavora. E quelle che lavorano non fanno carriera: è di sesso femminile solo il 21,9% dei manager, il 6% dei Cfo e il 4% degli amministratori delegati.

Di tutti i lavoratori part time, il 64,4% è costituito da donne, e tra loro la percentuale di part time involontario è tre volte superiore a quella degli uomini (15,6% contro il 5,1%).

A parità di mansione, le donne guadagnano il 20% in meno, percentuale che sale al 35,1% per chi svolge attività professionali scientifiche e tecniche, contrariamente a quanto ci si potrebbe immaginare.

Sono dati impietosi, antistorici per un Paese come l’Italia, uno dei sette più industrializzati del mondo.

Il divario inizia dopo la laurea

Se si guarda alla prima fase della vita, quella degli studi, non c’è divario di genere, anzi. Il 60% del totale dei laureati è donna, e tra loro è più alta rispetto agli uomini la percentuale di chi si laurea in corso (64% contro il 57,9%) così come il voto medio di laurea (104,8 contro 102, dati Almalaurea Focus Gender Gap 2025).

Ma basta poco perché inizino a crearsi le prime differenze: a cinque anni dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione degli uomini è il 90,2%, quello delle donne l’86,8%, con un divario del 3,4%. Tra le donne sono più diffusi i contratti a tempo determinato e meno quelli a tempo indeterminato.

Il nodo della genitorialità

Il divario occupazionale aumenta con l’aumentare del numero di figli: a cinque anni dal conseguimento della laurea è pari al 2,3% tra quanti non hanno figli e al 18,2% tra quanti ne hanno.

Dati confermati a livello europeo: il tasso di occupazione degli uomini aumenta all’aumentare del numero dei figli, mentre quello delle donne diminuisce (Inps-Eurostat). È come se via via gli uomini prendessero il posto delle donne che lasciano il lavoro.

Pari opportunità, di male in peggio

Disparità salariale persistente

Lo stesso discorso vale per i salari. Sempre a cinque anni dal titolo, tra i laureati di secondo livello che hanno iniziato un’attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno, le donne dichiarano di percepire 1.711 euro netti mensili, rispetto ai 1.927 euro degli uomini, con un differenziale salariale del 12,6% (Almalaurea Focus Gender Gap 2025).

Se a questa evidenza qualcuno obietta il fatto che tra le donne sia molto più diffuso il part time, l’Istat risponde con i dati sulla retribuzione oraria media nelle unità economiche con almeno dieci dipendenti: 15,9 euro quella delle donne contro i 16,8 euro di quella maschile nel 2022. Un gap del 5,6%, dunque, che arriva al 16,6% per i laureati e al 30,8% per i dirigenti.

Una maggiore partecipazione femminile conviene a tutti

Eppure, innumerevoli studi e ricerche da ormai molti anni confermano sempre la stessa evidenza: una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro avrebbe un impatto economico positivo, sia a livello Paese che di singola impresa.

Lo dicono le più importanti società di consulenza, il Fondo Monetario Internazionale, l’Harvard Business Review. L’Ocse nel 2023 scriveva che «se il contributo economico delle donne fosse pari a quello degli uomini, nel 2025 il Pil annuo ammonterebbe a 28 trilioni di dollari, il 26% in più rispetto all’ipotesi di scenario immutato».

McKinsey nel 2024 (report Diversity Matters Even More) rilevava: «Le aziende con una rappresentanza di donne superiore al 30% nel top management hanno molte più probabilità di registrare rendimenti finanziari maggiori se confrontate con quelle con una presenza femminile pari o inferiore al 30%».

Le imprese femminili fanno la differenza

Almeno un segnale positivo però c’è e arriva dalle imprese femminili, che in Italia nel 2024 ammontavano a 1,3 milioni, il 22,2% del totale, e che danno lavoro a 4,7 milioni di persone generando un fatturato tra i 200 e i 240 miliardi di euro, ossia il 10-12% del Pil nazionale.

Molte sono al Sud. Sono i dati Unioncamere, che aggiunge come il trend sia positivo: dal 2014 le società guidate da donne sono aumentate del 45%, si stanno strutturando, puntano sui settori a maggior contenuto di conoscenza e in molte provano a fare il salto alla “taglia” superiore.


Questo articolo è tratta dallo speciale Donne al potere o di potere? di Business People di luglio-agosto 2025, scarica il numero o abbonati qui

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