Ceo italiani: è tempo di cambiare

Viviamo una fase delicata, in cui i Ceo italiani si trovano ad affrontare sfide inedite, che decideranno il futuro delle loro imprese. PWC ha fatto il punto sullo stato dell’arte

Ceo italiani© iStockPhoto

Inflazione galoppante, crescita eco­nomica in calo, volatilità macroe­conomica, conflitti geopolitici e, sullo sfondo, il grande tema del­lo stato di salute del pianeta: non è un momento facile, questo, per chi è al timone di un’azienda. Tra raffi­che di vento, cavalloni impetuosi e mo­stri marini, schivare i colpi senza perde­re la direzione è una missione sempre più complicata. A misurare lo stato di salute, o quanto meno il grado di consapevolez­za dei Ceo italiani, ma non solo, è Price­waterhouseCoopers (PWC) con la sua 26° Annual Global Ceo Survey. Il sondaggio è stato somministrato a 4.410 amministratori delegati prove­nienti da 105 differenti Paesi (112 gli ita­liani). I ricercatori hanno poi elaborato le risposte, sintetizzandole sotto tre gruppi di “azioni necessarie” per operare sullo scenario attuale. Ne esce un quadro che fa ben sperare, anche se su alcuni aspetti c’è ancora molto da fare se si vuole prosperare e non sem­plicemente sopravvivere.

Cambiare per sopravvivere

Si parte da un assunto che non lascia molto spazio a speculazioni filosofiche: il 45% dei Ceo italiani intervistati pensa che la propria azienda nel giro di dieci anni non sarà più sostenibile economicamente. Gli elementi che minacciano la redditività del loro settore sono le possibili modifiche alla regolamentazione, le variazioni nelle preferenze dei propri clienti, la carenza di competenze aziendali, la necessità della transizione energetica e di quella tecnologica, conseguenze sul lungo termine di cinque trend che stanno già mostrando i denti: climate change, tecnologie disruptive, crisi demografica, tensioni a livello mondiale e instabilità sociale. Per loro il cambiamento è un’esigenza vitale, e cambiamento significa transizione digitale, ripensamento del modello di business e upskilling.
In poche parole, devono reimmaginare il posto della propria azienda nel mondo economico, ripensando attività e prodotti, se necessario.

La buona notizia è la consapevolezza dei problemi e delle possibili soluzioni, anche migliore rispetto al dato dei Ceo su scala globale, che si ferma al 40%. Consapevolezza che si focalizza soprattutto sul climate change: ci si aspetta un forte impatto, per ora sul fronte dei costi (67% contro il 50% a livello global), e sulla supply chain (50% contro il 42% a livello global) già a breve termine. La notizia meno buona è che solo il 22% delle aziende ha già studiato e posto in essere un piano strategico basato su dati per ridurre le emissioni e mitigare i rischi climatici. Nonostante la forte consapevolezza sul tema, quella per il cambiamento climatico rimane una preoccupazione con un orizzonte temporale abbastanza lungo.

I Ceo italiani per i prossimi 12 mesi si sentono più esposti a problemi come l’inflazione (32% Italia contro 40% global), la volatilità macroeconomica (21% Italia contro 31% global) e i conflitti geopolitici (17% Italia contro 25% Global). Nella prospettiva a cinque anni subentrano invece cambiamento climatico e rischi informatici. Questa differenza di “scadenze” porta a chiedersi se non si corra il rischio di concentrarsi eccessivamente sulle minacce del presente, tralasciando il medio periodo.

Resilienza e diversificazione

Se la più grande sfida a lungo termine è, secondo i Ceo intervistati, relativa al riscaldamento globale e al cambiamento climatico, quella a breve termine è invece lo stato dell’economia globale. Il 63% di quelli italiani prevede un calo della crescita economica globale nei prossimi 12 mesi (contro un 73% dei Ceo global). Il dato stupisce ancor di più se confrontato con il sondaggio dello scorso anno, secondo il quale l’89% dei Ceo tricolori prevedeva un miglioramento della crescita globale. L’effetto della fine della pandemia aveva probabilmente prodotto un eccessivo ottimismo nelle valutazioni degli intervistati. C’è da sperare che il pessimismo di quest’anno, dovuto agli effetti economici nefasti del prolungarsi della guerra fra Russia e Ucraina, risulti altrettanto eccessivo.

In che modo stanno reagendo, quindi, le aziende italiane a queste sfide economiche di breve termine? Il 62% degli intervistati ha dichiarato di aver già iniziato a diversificare l’offerta di prodotti e servizi, mentre il 57% ne ha aumentato i prezzi. Il dato più interessante è che malgrado il 55% di loro abbia dichiarato di aver ridotto le spese di gestione, solo il 9% ha bloccato le assunzioni e l’11% ha ridotto il personale. Dunque, si cerca di limitare i tagli di personale, anche per reagire al recente fenomeno delle dimissioni di massa, e dunque di perdita di “talenti”, che secondo gli a.d. italiani potrebbero aumentare (38%), anziché diminuire (17%). Per quanto riguarda l’esposizione a rischi di carattere geopolitico, i Ceo dichiarano di reagire investendo in cybersecurity (48%, soprattutto grandi aziende), diversificando prodotti e servizi (43%) o modificando la propria presenza sui mercati (38%, soprattutto piccole aziende).

Alla ricerca di un equilibrio

È importante affrontare le sfide di oggi senza perdere di vista quelle di domani, cercando un equilibrio nell’agenda degli interventi a breve e a lungo termine, così come nell’allocazione delle risorse. Dalla ricerca emerge che il 50% del tempo dei nostri Ceo è impiegato nella guida delle performance operative correnti, ma se potessero ridisegnare la propria agenda dedicherebbero a questa attività solo il 39%, mentre il restante 61% lo occuperebbero nello sviluppo del business e delle strategie aziendali. Per quanto riguarda le risorse, gli investimenti tecnologici sono la priorità assoluta: il 78% si concentra sull’automazione, il 77% sull’upskilling e il 72% sull’implementazione di tecnologie avanzate. La motivazione alla base di questi investimenti è la necessità di adeguare l’azienda al futuro (59%) o preser­vare l’attività attuale (42%). In ogni caso la parola d’ordine rimane “equilibrio”. Alla do­manda su come prevedono di concentrare i propri investimenti nei prossimi dodici mesi, gli a.d. intervistati hanno risposto con le im­plementazioni tecnologiche (64%), con la for­mazione del personale (62%) e con l’automa­zione di sistemi e processi (59%). Ma anche con la decarbonizzazione del modello azien­dale (55%), e con l’adozione di fonti energetiche alternative (55%). A dimostrazione della consapevolezza che per reinven­tarsi, ma allo stesso tempo consolidarsi sul mercato, è priorita­rio programmare investimenti che combinino tecnologia e so­stenibilità.

Parlando della normale attività lavorativa, la ricerca suggerisce che in molte aziende non ci siano per ora le condizioni affin­ché manager e dipendenti possano orientarsi autonomamente verso le nuove opportunità o rispondere a minacce dirompenti, mentre un modello di leadership condiviso sarà assolutamen­te necessario per riuscire nell’opera di rinnovamento azienda­le. Dunque, i Ceo dovranno impegnarsi di più per definire una visione condivisa e per dare ai propri colleghi la possibilità di prendere decisioni autonomamente.


Questo articolo è tratto dal numero di Business People di luglio-agosto 2023, scarica il numero o abbonati qui

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