Tre leve per ridefinire la cultura d’impresa

Stefano Epifani è il presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, e il suo è un osservatorio privilegiato sui comportamenti delle aziende italiane in tema di innovazione e compatibilità ambientale

Stefano-Epifani

L’intervista Stefano Epifani è parte di Ceo italiani: è tempo di cambiare


Dalla ricerca di Pwc esce il ritratto di un Ceo italiano consapevole dei pericoli che corre la sua azienda e anche dei possibili rimedi. Poi però bisogna passare all’azione… a che punto siamo?
Non si deve negare che quello della consapevolezza sia un primo, importante passo: ma non basta. Servono competenze specifiche e serve metterle in campo, perché il cambiamento nella direzione della sostenibilità (anche economica) è spesso lungo e ostacolato da fattori che tutti incontreranno e che possiamo riassumere in tre “C”: cultura, competenze, commitment. La cultura manageriale deve cambiare, servono competenze specifiche, e serve, appunto, commitment da parte del top management e degli azionisti.

Le preoccupazioni nel breve termine sono di carattere economico. Il cambiamento climatico è percepito come una minaccia ancora un po’ lontana. In pochi sembrano preoccupati dalla sostenibilità sociale.
Il principale gap da superare consiste nel comprendere che il tema ambientale, quello sociale e quello economico sono imprescindibilmente collegati. È sbagliato, e pericoloso, metterli in scala di priorità: la loro dimensione sistemica rende necessario affrontarli assieme, anche se alcuni di essi possono sembrare meno “urgenti”. Nel ripensamento del proprio modello di business, temi di sostenibilità ambientale, economica e sociale vanno considerati e contemperati contestualmente, in quanto rappresentano le tre leve sulle quali ridefinire la propria cultura organizzativa. In un contesto di sostenibilità sono elementi che interagiscono profondamente, e vanno considerati con attenzione già dall’inizio nella definizione del modello di business: se la sostenibilità non impatta su di esso, il più delle volte, non è sostenibilità. E sul lungo termine non funzionerà.

Molti Ceo (76%) hanno dichiarato di avere già sviluppato, o di stare sviluppando, delle strategie sul fronte della mitigazione e della riduzione delle emissioni. Secondo PWC però, solo il 22% delle aziende si è già messa in moto. Le risulta?
Purtroppo, sì. Di sostenibilità si parla molto (troppo, direi), se ne fa poca e se ne capisce ancor meno. Anche quando si parla di sostenibilità ambientale – che in questo contesto e in relazione al tema delle emissioni preferirei definire “impatto ambientale” – che comunque è l’ambito più facilmente misurabile, le esperienze realmente di successo sono molto poche e, come è emerso recentemente per molti colossi dell’Ict, la confusione è massima. Tra meccanismi di compensazione spesso fallaci e strumenti di misurazione talvolta opinabili, anche chi vorrebbe far bene ha il problema di comprendere come farlo. Figuriamoci chi è interessato solo a un’apparenza di sostenibilità. Nei prossimi anni crescerà l’importanza e il ruolo di meccanismi di asseverazione che consentano prima di tutto agli stessi Ceo di distinguere le azioni realmente utili dal greenwashing. Per questo con la Fondazione ci siamo preoccupati di sviluppare e rilasciare, insieme ad Uni, l’Ente Italiano di Normazione, una prassi di riferimento sul tema della sostenibilità digitale che ha l’obiettivo di definire una serie di parametri condivisi di efficienza/ efficacia in questo specifico settore, che è un fondamentale abilitatore di sostenibilità

© Riproduzione riservata