Se non volete morire, non fate più di cento ore al mese di straordinari

In Giappone si registrano 200 morti all'anno per super lavoro. Allo studio contromisure e un tetto “umano” all'extra-impegno

Cento ore al mese: sarebbe questo il tetto agli straordinari salva-vita secondo il governo del Giapppone. Nel Paese con la disoccupazione più bassa da oltre vent’anni – 3,1% – e posti liberi in abbondanza, si muore di super lavoro: sarebbero circa 200 le vittime all’anno del cosiddetto “karoshi”.

Sull’etica del lavoro giapponese si sono scritti fior di trattati e saggi, ma il Paese ha finora ignorato il lato deteriore di questa derivazione capitalista del codice dei samurai, il bushido. Viene considerato normale che un impiegato lavori fino alle 23 e riattacchi sereno alle 8 del giorno successivo. Anzi, viene apprezzata una pennichella alla scrivania o sui mezzi pubblici – l’inemuri – perché viene considerata una dimostrazione di attaccamento all’azienda. Altro che quei mollaccioni in Occidente che parlano tanto di smart working.

Il fenomeno è così diffuso che esiste una specie di tabella del karoshi, la morte per sfinimento: si rientra in questa fattispecie dopo un infarto durante un mese con 100 ore di straordinario o 80 nei due precedenti, ma anche se ci si toglie la vita dopo aver terminato 160 ore di lavoro extra per un mese o 100 ore per tre mesi consecutivi.Dopo l’ennesimo caso – il suicido di Matsuri Takahashi, giovane praticante della grande agenzia di pubblicità Dentsu che si era buttata da una finestra dopo 105 ore di straordinari obbligatori – si è così corso ai ripari: tetto agli straordinari a 60 ore al mese, con qualche strappo alla regola a 100 ore nei mesi di massima produzione. E soprattutto l’obbligo di undici ore di riposo tra un turno e l’altro. La riforma arriverà in Parlamento entro marzo, mentre i sindacati spingono per una revisione dei limiti a 80 ore.

Ma questo potrebbe rivelarsi anche un investimento per un Paese sempre più vecchio e con poche nascite, con un +20% nell’afflusso di lavoratori stranieri nel solo 2016 (per un terzo cinesi). Insomma, chi lavora – e tanto – dovrebbe fare anche l’amore.

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