Un giovane su due lascia il lavoro per malessere psicologico

Il 42% degli italiani ritiene inoltre inefficaci le iniziative promosse dalla propria azienda per incentivare il benessere e ridurre lo stress

In occasione della Giornata Internazionale della Salute Mentale, che cadrà il prossimo 10 Ottobre, Mindwork ha presentato la seconda edizione della ricerca (realizzata da BVA Doxa) sul benessere psicologico delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Tra i dati emersi, è interessante segnalare che quasi l’85% delle persone intervistate considera il proprio benessere psicologico generale correlato al proprio benessere sul lavoro e viceversa e che la quota di persone che soffre di frequenti problemi di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro sfiora il 50%. Non solo. Ben l’80% ha provato almeno un sintomo correlato al burnout (sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro). È evidente, dunque, che la durata dell’emergenza sanitaria stia mettendo a dura prova le persone. Anche chi, in una prima fase, ha reagito mettendo in campo le proprie risorse, si ritrova oggi a vederle sempre più esaurite.

Dall’indagine si evince anche che il 40% del campione intervistato non si sente libero di parlare del proprio malessere emotivo nel suo luogo di lavoro. La salute psicologica fatica dunque ad essere normalizzata in azienda, sebbene sia una necessità urgente: una persona su tre dichiara di essersi assentata dal lavoro a causa di malessere emotivo, dovuto a eccessivi carichi di stress e ansia, che non riusciva più a sostenere. Secondo i dati emersi, inoltre, lavoratori e lavoratrici giovani hanno una maggior propensione a lasciare il lavoro a causa di un malessere emotivo ad esso correlato. Il 49% degli under 34, infatti, si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica. La tendenza è in aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2020.

Iniziative promosse dalle aziende: qualsi sono e quanto funzionano

Il 92% delle lavoratrici e dei lavoratori ritiene importante che l’azienda si occupi attivamente del “benessere psicologico” dei propri dipendenti. Tuttavia, il 42% del campione intervistato ritiene inefficaci le iniziative promosse dalla propria azienda per aumentare il livello di benessere dei lavoratori e delle lavoratrici e/o ridurre lo stress legato al lavoro. Si registra, in questo caso, un aumento di quasi 15 punti percentuali dal 2020. “È importante sottolineare che in caso di ricerca di una nuova posizione lavorativa, il 73% delle persone dichiara di preferire un’azienda attenta al benessere psicologico delle sue persone – sottolinea Biancamaria Cavallini, Customer Success Manager di Mindwork e Psicologa del Lavoro – anche laddove il livello di stress attualmente percepito dalla persona sul proprio lavoro sia basso. Questo dimostra una crescente sensibilità alla necessità di un ambiente di lavoro sano”.

In quelle aziende dove è previsto un servizio di supporto psicologico, il 60% delle persone lo valuta positivamente e ritiene che sia necessario che il servizio continui anche in futuro, quando l’emergenza Covid-19 sarà finita. Laddove non è presente, il 75% delle persone valuterebbe positivamente la messa a disposizione, da parte dell’azienda, di un servizio di supporto psicologico.

Il rientro in azienda post-Covid

Relativamente al ritorno in azienda, circa il 40% si dice preoccupato del rientro a tempo pieno al punto che il 20% cambierebbe lavoro se costretto a rientrare. I principali motivi di tale preoccupazione sono la gestione tempo, i vissuti di stress e infine la gestione familiare. Appaiono questi i principali motivi per cui il 62% dei lavoratori e delle lavoratrici valuta utile un servizio di supporto psicologico per fronteggiare momenti di stress e disagio legati al rientro in azienda. Quota che, rispetto al 2020, è salita di 8 punti percentuali (dal 54% al 62%).

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