Jobs Act, il bilancio (quasi) due anni dopo

Licenziamenti in crescita e pochi nuovi posti di lavoro, ma anche tante trasformazioni a tempo indeterminato. L'emergenza resta la disoccupazione giovanile: l'analisi del Corriere della Sera

Jobs Act, due anni dopo o quasi dopo. Licenziamenti in crescita, frenata dei nuovi posti di lavoro dopo la fine degli sgravi fiscali e tanto altro ancora: continuano le critiche sulla riforma più importante del governo Renzi. Ma, secondo l’analisi di Maurizio Ferrara sul Corriere della Sera, non tutto è da buttare.

Gli effetti del Jobs Act si potranno vedere realmente solo a lungo termine, ma hanno messo l’Italia sulla strada della flexicurity, quel modello nordico che assicura flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti in cambio di una forte rete di ammortizzatori sociali e strumenti per il reinserimento occupazionale. Il Belpaese è uscito così da quella dicotomia tra “posti fissi” iper tutelati e precari abbandonati a se stessi.

Insomma, forse non è stata la pietra filosofale raccontata dal governo Renzi, ma il Jobs Act è una delle poche vere riforme della nostra storia recente. E ha inciso nella vita di tutti coloro che hanno visto trasformarsi il loro contratto da precario in tempo indeterminato. Merito della decontribuzione? Certo, però non solo. Dall’altra parte, la Naspi offre più tutele anche ai lavoratori aticipi con importi sopra la media europea.

Resta la criticità fondamentale, quella delle politiche attive in un momento storico in cui il tema principale deve essere quello della disoccupazione giovanile. Anzi, trovano lavoro più facilmente gli over 50 rispetto ai 15-24enni, raccontano i dati Istat. E questa è un’emergenza nazionale, non l’occasione per facili polemiche.

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