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Economia

Energia nucleare in Italia: c’è chi dice no

Il parere di Livio de Santoli, prorettore alla Sostenibilità all’Università di Roma La Sapienza

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Di fronte alle istanze di decarbonizzazione che diventano sempre più pressanti, l’energia nucleare fa meno paura all’Europa, che sta discutendo se aggiungerla alla lista delle tecnologie cosiddette verdi. Al di là delle considerazioni puramente inerenti questo tipo di tecnologia, per alcuni in questo momento storico sarebbe un grave errore strategico. Ne abbiamo parlato con il professor Livio de Santoli, prorettore alla Sostenibilità all’Università di Roma La Sapienza, e presidente del Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica).

Professor De Santoli, la situazione energetica è tale da giustificare l’apertura europea sul nucleare?
La questione sull’opportunità o meno di ricorrere all’energia nucleare riguarda da vicino la tassonomia delle tecnologie verdi, perché saranno poi quelle che avranno accesso ai finanziamenti da parte della Comunità nei prossimi anni. E nella lista delle energie verdi molto probabilmente si sta discutendo non solo del nucleare ma anche del gas metano, decisione motivata da un lato con il fatto che il nucleare non emette anidride carbonica, dall’altro che il gas è necessario per il processo di transizione e tra le fonti fossili è quella meno inquinante. Entro dicembre la Comunità Europea dovrà prendere una decisione che, con molta probabilità sarà positiva, anche se a mio parere finanziare queste tecnologie con soldi pubblici qualche perplessità la introduce.

Il nucleare oggi fa meno paura?
Il nucleare ha ancora oggi un problema irrisolto, scorie a parte, ed è quello dei costi e dei tempi, che dovrebbe far riflettere in modo più approfondito rispetto a quello che avviene oggi sulla effettiva necessità di drenare finanziamenti alle rinnovabili. Noi abbiamo l’urgenza di ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 e di decarbonizzare il sistema energetico entro la metà del secolo, e se iniziamo a scardinare il concetto base rispetto a cosa sia una fonte rinnovabile il problema, secondo me, c’è. Anche la quarta generazione di nucleare, quella dei reattori raffreddati a piombo-bismuto per capirsi, non è ancora pronta. Si parla di 2035, ma non c’è un documento ufficiale, per quanto mi risulti, con dei termini concreti per la realizzazione delle centrali. Cosa comprensibile, data la complessità di questa tecnologia. Piombo e piombobismuto sono molto densi, creano problemi strutturali, il bismuto non è così semplice da trovare, è molto costoso e ne serve parecchio per questa tipologia di centrale. Servono temperature elevate per portarlo allo stato liquido e la soluzione piombobismuto produce polonio, che è un elemento molto radioattivo. La mia posizione non è in opposizione alla tecnologia, ma contro un’operazione che in questo momento è molto velleitaria e soprattutto ideologica. Ultimamente si parla di piccole dimensioni, tante centrali da poche centinaia di megawatt invece di migliaia, sparse sul territorio. Ma ce le vede le comunità locali ognuna con una propria centrale nucleare?

La comunicazione martellante sul rincaro delle materie prime e l’aumento dei costi energetici, secondo lei sta spostando il sentiment antinucleare della nazione?
Fino a prova contraria, stante un referendum e le dichiarazioni recenti del governo sugli obiettivi al 2030 e al 2050, siamo antinucleare e antifossili, ma le bollette che rincarano preoccupano il consumatore. Se avessimo a disposizione quote di energia da fonti rinnovabili progressivamente più importanti, non staremmo a rincorrere i prezzi sul mercato del gas con le considerazioni di tipo geopolitico a esso legate. La fluttuazione e la volatilità dei prezzi a quel punto diminuirà. Sole e vento possono essere una soluzione anche per ridurre l’incidenza di tali costi.

Eppure, c’è chi sostiene che sole e vento non basteranno a coprire il fabbisogno energetico.
È la struttura energetica attuale che non consente la copertura del fabbisogno, senza accumulo, su grandi centrali e reti di trasmissione inadeguate. È indubbio che ci sono aspetti da perfezionare, ma l’unica risposta possibile è accelerare con le rinnovabili e con le modifiche strutturali. Oltre ai soldi dell’Europa, servono operazioni virtuose pubblico-private con l’ingresso di investitori che sul medio lungo periodo potranno avere un guadagno. E che intanto accettino il beneficio ambientale, convinti di partecipare a un processo ineludibile.