Ddl start up, arriva il primo sì al Fondo dei fondi per le pmi

I fondi del Patrimonio destinato verranno coinvestiti in nuovi fondi gestiti anche da privati: si inizierà con 300 milioni per la parte pubblica fino ad arrivare a circa 1 miliardo

Primi passi per il Fondo dei Fondi: approvato l'emendamento in Senato© Shutterstock

Il Ddl start up ha iniziato a muovere in Senato i primi passi parlamentari e prevede un emendamento sul cosiddetto Fondo dei fondi, presentato dal relatore Stefano Borghesi allo scopo di permettere alle pmi di ottenere agevolazioni fiscali. L’emendamento, approvato dalla commissione Finanze del Senato, ha l’obiettivo di «sostenere la patrimonializzazione delle imprese italiane e il rafforzamento delle filiere, reti e infrastrutture strategiche tramite lo sviluppo del mercato italiano dei capitali».

Come ha spiegato in più di un’occasione il sottosegretario all’Economia Federico Freni, il Fondo dei fondi è un’evoluzione del Patrimonio destinato, il maxi fondo nato nel 2020 con il Decreto Rilancio per sostenere le imprese colpite dalla caduta del Covid. Per chi non lo sapesse, il Patrimonio destinato è rimasto largamente sotto le dimensioni ipotizzate all’inizio, anche per via del suo regolamento molto restrittivo, che dava più spazio alle società grandi o che avessero dei bilanci sostanzialmente perfetti.

È per questa ragione che si è pensato a uno strumento destinato alle smid caps sui mercati regolamentati e non, che ha uno scopo ambizioso: il Fondo dei fondi, infatti, punta a superare quello che è uno dei paradossi più evidenti nel mercato italiano dei capitali, che al netto di un elevato tasso di risparmio si mostra inerte quando si tratta di fare investimenti nell’economia reale.

Secondo quanto affermato da Giulio Centemero, membro della VI commissione (Finanze) Lega, si inizierà con 300 milioni fino ad arrivare a 1 miliardo. Dopodiché, se l’esperimento avrà successo, ci saranno altri fondi pubblici che potranno seguire la stessa strada. Intanto, per iniziare, con l’emendamento approvato dalla commissione Finanze di Palazzo Madama, il Patrimonio destinato può sottoscrivere quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio, a patto che questi si dedichino principalmente a Pmi.

Le pmi devono avere sede legale (o significativa e stabile organizzazione) in Italia e possono avere anche un fatturato annuo inferiore a euro cinquanta milioni. Per una quota non prevalente, gli Oicr interessati possono investire in titoli quotati emessi da imprese italiane, e anche in titoli di Stato italiani, europei o di un Paese dell’Eurozona.

Le quote o azioni dei nuovi Oicr sottoscritte da Patrimonio Destinato non potranno superare il 49%, mentre la restante quota del patrimonio, come si legge nell’emendamento, dovrà essere «sottoscritta da co-investitori privati alle medesime condizioni del Patrimonio destinato». Queste indicazioni sono da tradursi in una strategia tutta incentrata sull’effetto leva: a una minoranza pubblica si affiancherà una maggioranza di capitali privati, per esempio da casse previdenziali o fondazioni, che siano coinvolti alle stesse condizioni.

Certo, il cammino non sarà breve e non sarà facile: la strada è ancora lunga e prevede il passaggio attraverso decreti legge e sessioni di bilancio. Ma l’intento è lodevole: sfruttando anche la conoscenza diretta del mercato da parte degli Oicr, si stabiliranno di certo parametri e modalità di selezione delle piccole e medie imprese su cui investire, provando a costruire modalità nuove di coinvolgimento dei capitali privati dopo i risultati non proprio soddisfacenti del passato.

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