Sostenibilità, un’azienda su due ha ridotto l’esposizione sulle strategie green

Si fa largo nell'imprenditoria il fenomeno del greenhushing per ridurre l'esposizione mediatica su temi fondamentali

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Il tema della sostenibilità aziendale è sempre più all’ordine del giorno, ma non si può dire altrettanto per quanto riguarda la sua comunicazione. Secondo recenti studi, infatti, anche le aziende che hanno integrato e portato avanti strategie green preferiscono farle passare sotto silenzio.

L’ultimo rapporto Net zero and beyond promosso dalla società svizzera di consulenza finanziaria South Pole e ripreso dal Sole 24 Ore certifica infatti un nuovo fenomeno: quello del greenhushing, termine coniato dalla società di consulenza Tree Hugger dopo aver notato che sempre più realtà sono restie a condividere politiche e iniziative sostenibili. Il contrario del greenwashing, quindi, ovvero la corsa a spuntare la casella di un tema fondamentale senza tuttavia intraprendere azioni davvero concrete.

Nonostante nel 2023 siano aumentati gli investimenti privati in start up green e il tema sia quindi centrale, parlare di ambiente per i mercato è diventato però sconveniente, sottolinea il report: un’azienda su quattro non vuole condividere i propri obiettivi di sostenibilità, mentre quasi una su due (44%) del campione di intervistati sostiene che parlare dei propri obiettivi climatici è diventato più difficile. Il 58% sta diminuendo le comunicazioni in proposito, nonostante sono in atto politiche ambientali anche virtuose e a norma di legge. La percentuale di società quotate in Borsa che ammette di fare greenhushing è del 70%, ma nelle stesse il budget nel settore è aumentato dell’86%.

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E in Italia? Secondo il rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola e di Unioncamere, il 57% delle imprese locali ha messo in atto misure per ridurre l’impatto ambientale, ma solo il 18% lo ha comunicato ai clienti, fornitori e partner. Il 39% ha fatto greenhushing, insomma. Il fenomeno si lega anche alla presa di distanza dal cosiddetto brand activism, una scelta che complice la rete e i social rischia di essere sempre più letta in chiave di strumentalizzazione. “La scelta di non comunicare è sicuramente legata al timore di essere criticati o accusati di washing: si teme che le attività dell’azienda in tema di sostenibilità possano essere viste dagli stakeholder come non sufficienti o non coerenti, o portare ad un aumento delle aspettative e delle pressioni sull’azienda” è il parere di Ida Schillaci, membro del consiglio direttivo di Sustainability Makers citata dal Sole 24 Ore.

A limitare la comunicazione sono anche le direttive europee in materia, tramite una serie di vincoli su cosa e come trattare il tema, ma farlo è comunque fondamentale: “Non comunicare progetti considerati di valore solo per il timore di essere attaccati è un’occasione persa, ma occorre farlo con il giusto storytelling. Se i consumatori non conoscono le pratiche di sostenibilità, non hanno la possibilità di effettuare acquisti consapevoli perché non hanno le informazioni adeguate” riferisce Schillacci.

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