Questione di affinità

Mario Franzino e i suoi primi 20 anni alla guida della Bosch Siemens Hausgeräte. Gli incentivi? Utili, ma è fondamentale sapersi relazionare con il retail. «Perché l’elettrodomestico non è solo un oggetto che deve funzionare bene»

Gli incentivi alla rottamazione degli elettrodomestici? «Sono serviti moltissimo». È soddisfatto Mario Franzino, da 20 anni a capo della corporate italiana della Bsh, la Bosch Siemens Hausgeräte, la multinazionale tedesca da 8,4 miliardi di euro di fatturato. Sì, sono serviti, ma molto lo si deve anche al culto tutto italiano per la qualità e la bellezza di ciò che si mette in casa. Per dire: in molti Paesi l’elettrodomestico deve semplicemente funzionare. Per l’italiano deve essere anche elegante, funzionale, discreto e possibilmente trendy. Da qui l’incredibile attenzione che il mercato nazionale rivolge alle marche che assicurano queste caratteristiche. Da noi comprare una lavatrice è un affare di stato famigliare, e quando si decide non è mai per un caso. È anche per questo che le marche migliori da noi vanno alla grande, ed è anche per questo che mentre le vendite si sono bloccate in molti Paesi europei, da noi continuano ad andare bene. Merito della decisione del governo di inserire gli elettrodomestici nell’elenco dei beni che usufruiscono di un incentivo alla rottamazione, ma merito anche del gusto tutto italiano per gli oggetto di qualità.

Dottor Franzino, come sono andati i primi mesi del 2010?Ripeto: gli incentivi sono serviti moltissimo e le vendite stanno crescendo in ogni settore. Ma anche i paesi dell’Europa occidentale, Asia e Nordamerica si registra un trend positivo. Stando ai dati della società di ricerca Gfk il mercato delle lavatrici in Italia registra nei primi cinque mesi del 2010 un più 7,5%, quello delle lavastoviglie addirittura tocca punte del 13%. Gli apparecchi da incasso crescono di 6 punti percentuali e le vendite dei piani cottura salgono del 4,5.

Qual è il prodotto del catalogo Bsh più amato dagli italiani?Gli italiani amano le lavastoviglie. Nel 2009 ne abbiamo vendute ben 150 mila unità. Ma hanno cominciato ad apprezzare anche le asciugatrici, e pure le lavatrici si confermano in cima alle preferenze. La domanda si concentra comunque su qui modelli e marchi che puntano su risparmio energetico, silenziosità e semplicità d’uso.

Come si è chiuso il primo semestre 2010 per la Bsh Italia e quali sono le prospettive per quello in corso?Il 2010 si sta mostrando un anno molto interessante: nei mesi appena conclusi tutti i nostri marchi hanno segnato un incremento di oltre il 10% rispetto al 2009.Lo scorso anno mentre tutti gli industriali dell’elettronica si interrogavano su cosa fare per uscire dalla crisi, lei dichiarò che una via di uscita poteva esse però un rapporto diverso tra produttore e retailer.

Cosa intendeva?Ho sempre sostenuto che tra il produttore e il distributore si debba creare una relazione più sofisticata se si vuole, allo stato delle cose, incrementare il risultato. A mio avviso questi due soggetti devono pianificare strategie di medio-lungo periodo, dando vita anche a progetti condivisi. Mi sono accorto che le operazioni tattiche indirizzate al prezzo non creano più risultati economici consistenti.

L’Italia è un mercato maturo e, diciamocelo, anche saturo. Come si fa, a incentivi finiti, a convincere il consumatore a sostituire gli elettrodomestici?Abbiamo sempre “stimolato” il rinnovo degli elettrodomestici senza incentivi, quindi questo intervento del governo a nostro avviso va considerata una “una tantum” che ha dato un sicuro stimolo al mercato ma che, proprio per la sua eccezionalità, non è strategico in una pianificazione aziendale di lungo periodo. Per questo gli operatori del settore hanno lavorato molto negli ultimi anni per migliorare la tecnologie di risparmio energetico, tenendo alta la qualità del prodotto, e non ultimo, la semplicità di utilizzo. Va detto però che la situazione globale è ancora difficile e tutto il comparto necessita di maggiore attenzione da parte degli organi istituzionali.

In termini di prodotto, ci sono dei gusti o delle esigenze singolari da soddisfare per il mercato italiano?Il consumatore italiano chiede sempre più trasparenza in qualsiasi tipo di comunicazione, come pubblicità e cataloghi per esempio, dimostrando una particolare maturità. Allo stesso tempo cerca prodotti che lo gratifichino anche dal punto di vista del design. È un consumatore consapevole, direi tra i più completi a livello internazionale. Per questo va rispettato e seguito con attenzione.L’Italia è un paese leader nella produzione degli elettrodomestici. Come fa una multinazionale ad affermarsi e a resistere in quella che può essere definita la tana del lupo?Bsh garantisce elettrodomestici di qualità, affidabili, dalle caratteristiche tecniche chiare e trasparenti, stando vicino al consumatore anche nel post-vendita. Questi valori ritengo siano indispensabili nella riuscita di qualsiasi business in qualsiasi paese del mondo, compresa l’Italia che ha una produzione interna così importante.

Lei è un sostenitore del marketing come trasferimento di know-how ai dipendenti. Cosa intende precisamente e come viene realizzato da Bsh?Si parla fin troppo di marketing, spesso però fermandosi a ragionamenti datati. Il mondo evolve e le aziende devono crescere alla stessa velocità, ma non solo dal punto di vista del prodotto. Per questo a mio avviso anche le strategie di mercato debbono tenere il passo con i tempi e innovarsi a seconda delle circostanze. Affinché il marketing diventi più vivo, è necessario che le persone, le risorse umane di un’azienda, abbiano questa forma mentis, che Bsh cerca costantemente di “allevare”.

Bsh è riuscita a tenerla con sé per 20 anni. Come l’ha convinta?Nella vita si incontrano persone e si creano legami per affinità. Finora la mia affinità con Bsh non si è mai esaurita e ho una grande considerazione di tutto il nostro Gruppo… sino a convincerli che io faccia (ancora) al caso loro in Italia.

Quali sono stati i momenti più difficili nel suo ruolo di amministratore di Bsh?Il lavoro è caratterizzato sempre dalle difficoltà. Non credo ci siano “problemi” che possono essere affrontati più superficialmente di altri. Ritengo, al contrario, che la vita lavorativa debba essere totalizzante. Non sarebbe possibile un’altra strada o, perlomeno, non ne vedo un’altra. La nostra posizione odierna, per esempio, è stata costruita nel tempo, partendo da una situazione sicuramente non facile. Oggi la nostra presenza e la conoscenza dei nostri marchi è globale e ci permette di vedere il futuro in modo molto più positivo e costruttivo.

Quanto conta la gestione delle persone e la continua ricerca a livello organizzativo, per il successo di una azienda?È l’area più importante. Le persone sono gli artefici dei risultati economici, delle grandi affermazioni, del trasferimento dei valori aziendali verso la società. Una sorta di bene trasversale dove il prodotto ha sì un valore, ma la marca, intesa come brand, ne ha ancora di più.

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