Manichini Bonaveri: un’eccellenza tutta italiana

Altro che puro supporto d’abiti. Scegliere quello giusto può essere decisivo per il successo delle collezioni di moda. E nel settore le aziende italiane dettano la linea. Bonaveri in primis, che ha appena acquisito lo storico brand Rootstein

Siamo abituati a vederli coperti, nascosti, rele­gati a comprimari. Mai nessuno li nota. Inve­ce fanno la differenza, perché il ruolo della call to action nel retail tradizionale ce l’hanno pro­prio loro: i manichini. Realistici o stilizzati, in ogni possibile colore, finitura o materiale, in­terpretano interi brand o singoli capi, facen­done autentici oggetti del desiderio. Le aziende migliori al mondo in questo settore sono italiane. E tra queste spicca Bonaveri, storico atelier di Renazzo di Cento (Fe), oggi un laboratorio ad alto grado di specializzazione e tecnologia e allo stesso tempo fucina di sculto­ri e modellatori per la produzione di pregiatissimi indossatori muti, ma non per questo meno espressivi.

Bonaveri: storia di un’eccellenza made in Italy

Fondata nel 1953 da Roma­no Bonaveri e oggi guidata dai figli Andrea (Ceo) e Guido, Bonave­ri produce circa 20 mila manichini all’anno, ed è riuscita nella dif­ficile impresa di armonizzare la qualità artigianale di alta gamma con le necessità produttive di un’azienda con caratteristiche indu­striali. Quattro le linee principali (poi ciascuna reinterpretata nei dettagli e nelle pose), Classica, Schläppi, Sartorial e B by Bonave­ri, che abbracciano l’intero genere merceologico.

Linee minimal, forme astratte e futuristiche: sono le caratteristiche distintive dei manichini Bonaveri. La loro produzione prende il via dalla stesura di un progetto creativo, per poi passare alla realizzazione di miniature di circa 30 centimetri e, infine, alla creazione della forma in argilla, che è un vero e proprio lavoro di scultura

Di recente ha con­solidato ulteriormente la propria leadership sulla scena inter­nazionale con l’acquisizione di un altro storico brand del settore: Rootstein, azienda londinese fondata alla fine degli anni 50, e spe­cializzata nella produzione di manichini con le fisionomie di mo­delle e personaggi famosi. Nel secolo dell’e-commerce, tuttavia, che ruolo continua ad avere il manichino nell’alta moda? «Ha la stes­sa importanza di una modella che sfila», ci spiega Andrea Bonave­ri, «di una testimonial che posa davanti all’obiettivo di un brand di moda. Come veste un manichino è fondamentale, è quel quid che ti spinge a entrare in un negozio dopo aver visto la vetrina oppu­re a passare oltre».

Manichini con una personalità propria, che na­scono da un processo creativo complesso generato da un’ispirazio­ne come da una necessità. «Arriva la richiesta di un brand giovane oppure di una maison di alta moda, sono target e modalità espres­sive diverse, e scatta l’idea che può essere ispirata all’attualità, allo spettacolo, alla moda stessa. Immaginiamo come possa apparire in vetrina e da lì parte una ricerca iconografica e dei possibili materia­li, colori, rivestimenti e pose. Viene realizzato un progetto creativo che poi è proposto allo scultore. Questi realizza in creta delle minia­ture di circa 30 centimetri, in sei o sette pose, che sono quelle di cui è normalmente composta una serie di manichini, e si vede come in­teragiscono tra loro, la dinamica che si crea una volta messe insieme. Devono dialogare. Se funzionano, inizia la creazione della forma in argilla, ed è un lavoro di scultura a pieno titolo. Solo quando la figura è completa si passa agli stampi in gesso e alle colate in resina».

Questo processo è in continua evoluzione, considerando che almeno una volta all’anno Bonaveri mette in produzione una nuova collezione di manichini, per rispondere ai cambiamenti di gusto e di tendenze nel mondo della moda. «Una parte consistente della nostra produzione riguarda il bespoke, cioè manichini fatti su ordinazione e personalizzati per brand di moda che richiedono particolari caratteristiche», da esporre in occasione di eventi e mostre quali Chinese Art & Couture della stilista cinese Guo Pei a Singapore nell’estate 2019.

Rientra nella volontà di coprire tutte le tipologie anche l’acquisizione di Rootstein, leader indiscusso sui manichini con fisionomie realistiche e parrucca, che Bonaveri aveva abbandonato diversi anni fa per linee più minimal, dalle forme astratte e futuristiche, di cui la linea Schläppi – marchio svizzero acquistato nel 2000 – è chiara espressione. «Era inutile competere con Rootstein che era il numero uno al mondo per manichini realistici. Come Bonaveri abbiamo preferito specializzarci nei rivestimenti in tessuto, in pelle, in vari colori, nelle forme stilizzate e in caratteristiche quali braccia articolate, dettagli in metallo o materiali particolari, dove potevamo essere leader. Sono manichini concepiti in ogni dettaglio in funzione della vestibilità del capo d’abbigliamento cui sono destinati. La collezione Schläppi si è inserita nella nostra visione sartoriale con le linee affusolate che la contraddistinguono e che in Bonaveri abbiamo ampliato e arricchito, ed è stata un grande successo».

Una scelta lungimirante, poiché è indubbio che il manichino realistico negli ultimi decenni si è visto sempre meno fino quasi a scomparire. «Noi abbiamo dato un certo impulso anche al cambio di gusto rispetto al passato», continua Bonaveri, «il pubblico ha apprezzato anche lo sforzo innovativo. Diciamo che con Rootstein ci siamo divisi la leadership tra realismo e stilizzazione. Loro sono rimasti molto radicati al loro concetto di manichino naturalistico e hanno perso quote di mercato. A questo punto ci siamo fatti avanti con delle proposte, perché era un segmento di prodotto di indubbio prestigio che però a noi mancava. Il loro know-how, l’archivio storico delle collezioni completava la nostra gamma. All’inizio hanno detto di no, ma poi l’anno scorso ci hanno ricontattato e abbiamo finalizzato l’operazione».

Che sia l’alba della rinascita del manichino realista? In qualche modo è così: «Crediamo che ci sia ancora spazio per un modello naturalistico, ma deve passare attraverso un processo di svecchiamento, ha bisogno di essere rinfrescato. All’ultimo Euroshop di Dusseldorff (tra gli appuntamenti più importanti nel settore retail, ndr) abbiamo rilanciato il brand Rootstein e presentato la prima linea dei nuovi manichini, che riprende la collezione degli anni 60, in particolare Twiggy, icona indimenticabile che Adel Rootstein aveva ritratto in un manichino nel 1967 e che oggi come Bonaveri abbiamo cercato di attualizzare. A questa poi seguiranno altre riedizioni dei grandi classici, ma sempre in chiave contemporanea. Sono creazioni per marchi di fasce medio alte, di brand frizzanti e giovani, come Zara ad esempio».

Fasce, tuttavia, che assai più dell’haute couture risentono dei cambiamenti nel settore retail portati dalla digitalizzazione diffusa: concetti come customer experience, realtà aumentata, e l’immediatezza stessa di un video o un’immagine 3D visualizzata da un pc o da uno smartphone magari in mobilità, le politiche sempre più permissive in fatto di resi e costi di spedizione quasi azzerati sembrerebbero svalutare l’idea di una forma fisica, immobile per quanto espressiva, e soprattutto localizzata in uno spazio ben preciso, che è quello dello showroom, dell’atelier, della vetrina.

«È un problema che tocca moltissimo anche il nostro settore, molti negozi hanno chiuso, posti di lavoro sono sfumati, e anche noi abbiamo avuto un calo di fatturato, che è passato dai 14, 3 milioni di euro del 2017 ai 13,9 del 2018 proprio per le ripercussioni del commercio digitale su tutta la filiera. Rispetto a tutto ciò che permette la tecnologia digitale, io però resto fedele allo scultore che lavora la creta. Questo sappiamo fare bene, e continueremo a farlo. Il manichino si è sempre utilizzato e lo sarà ancora, perché ci sarà sempre chi vuole toccare, apprezzare un dettaglio, sentire un tessuto… D’altra parte, lei riuscirebbe a immaginare via Montenapoleone a Milano o via Condotti a Roma senza negozi?».

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