Negli ultimi due anni la Generative AI (Gen AI) ha suscitato un’attenzione straordinaria, affermandosi come una delle tecnologie più promettenti per le aziende. Tuttavia, secondo un recente report, l’adozione dell’intelligenza artificiale generativa procede a velocità diverse: Cina e Stati Uniti guidano per implementazioni, mentre solo il 9% delle organizzazioni globali ha una reale familiarità con questa tecnologia. Un dato che conferma come nonostante il potenziale economico – stimato in un mercato annuo fino a 4,4 trilioni di dollari – molte imprese siano ancora in una fase esplorativa. Quali sono i passi da compiere affinché le aziende possano superare questa fase di hype, di aspettative eccessive che stanno caratterizzando la diffusione della Gen AI e coglierne le importanti opportunità di business? Lo abbiamo chiesto a Saverio Pasquini, Presales & Innovation Director di Sas, società americana leader nel settore degli analytics e dell’intelligenza artificiale.
La Gen AI sta suscitando interesse in molte aziende. Dal vostro osservatorio, quanto si sta diffondendo chiaramente all’interno delle organizzazioni italiane?
Rispetto ad altre tecnologie che abbiamo affrontato in passato, la Generative AI sta suscitando parecchio clamore perché ha un impatto trasversale: tocca non solo il mondo aziendale ma anche la vita quotidiana di tutti noi. Guardando solo al mondo enterprise, riscontriamo un’attenzione diffusa – praticatemene il 99,9% degli attori di mercato discute del tema – ma solo il 3% è riuscito a integrarla realmente nei processi produttivi. La sfida è passare dall’entusiasmo iniziale a una vera e propria maturità tecnologica. Guardiamo al passato: come sostenuto da Henry Ford, l’automobile è stata una delle più grande rivoluzioni del nostro tempo, ma lo è diventata solo quando si è trasformata in un fenomeno di massa, inserendosi in un processo produttivo ed economico. Ecco perché dobbiamo raggiungere una vera e propria industrializzazione della Gen AI: diventerà rivoluzionaria solo quando sarà integrata davvero nei processi produttivi, rendendola accessibile e scalabile per tutte le aziende.
Quali sono gli errori più comuni che le aziende commettono nell’integrare la Gen AI nei loro processi?
Uno degli errori più frequenti è sottovalutare l’importanza dei dati, che restano fondamentali. Molte aziende non hanno una governance solida del dato o non ne presentano di sufficientemente strutturati, e questo compromette i risultati. È come costruire un edificio senza fondamenta: se i dati sono scorretti o incompleti, i risultati saranno insoddisfacenti. Un altro errore è approcciare l’intelligenza artificiale generativa senza darsi un obiettivo chiaro, spinti solo dalla voglia di sperimentare. Infine, non va dimenticato l’ostacolo delle competenze: la Generative AI è una tecnologia nuova e richiede figure professionali specifiche, oltre che piattaforme di gestione adeguate a gestire il ciclo completo dei dati e dei modelli.
Quali consigli, invece, darebbe a coloro che vogliono strutturare un approccio efficace all’intelligenza artificiale generativa?
Per avere elevate possibilità di successo, basterebbe evitare questi errori! Quando incontriamo le aziende nostre clienti, il primo passaggio fondamentale è definire assieme gli obiettivi. Cosa si vuole ottenere? Quale processo si vuole migliorare? Solo in questo modo si ha la possibilità di valutare se il nostro lavoro può avere un ritorno sugli investimenti in linea con le aspettative di chi poi deve investire. Solo a questo punto andiamo a verificare la disponibilità e la qualità dei dati aziendali per comprendere se sono sufficienti a gestire questo processo: senza dati strutturati, la Gen AI non può funzionare efficacemente. Per quanto riguarda le competenze, se non ce ne sono di adeguate, affianchiamo le aziende per aiutarle a colmare il gap necessario a gestire nuovi processi. Infine, bisogna avere a disposizione una piattaforma tecnologica, che ti permetta di integrare questi processi all’interno dell’azienda.
Piattaforme che, grazie anche al cloud, possono essere accessibili anche ai ridotti budget delle numerose pmi italiane.
È vero. Fatta eccezione per poche grandi multinazionali italiane, il nostro territorio è costituito da numerose piccole e medie imprese che fanno fatica a disporre di ingenti investimenti. Come ha detto, fortunatamente le tecnologie cloud permettono di utilizzare strumenti evoluti anche con piccoli investimenti, nel tempo scalabili in base alle esigenze e alle progettualità delle singole imprese. Detto questo, l’Italia non è indietro rispetto ad altri Paesi, e molte nostre case history di successo dimostrano il potenziale di innovazione delle nostre imprese.
Come per molte innovazioni, le aziende che operano con la Gen AI devono far fronte a un contesto normativo in costante evoluzione, soprattutto nell’Unione europea. È un tema che avvertite come sensibile all’interno delle nostre aziende?
Sì, ed è incoraggiante vedere come le aziende del nostro Paese siano sempre più sensibili alla trasparenza e all’etica nell’uso della Gen AI. Con la sottoscrizione del Patto per l’AI nel contesto dell’AI Act, Sas ha rafforzato il suo impegno per una governance forte, offrendo strumenti per monitorare bias nei modelli e garantire l’integrità dei dati. Va sempre ricordato che l’intelligenza artificiale generativa è un mezzo, non un fine, e il suo utilizzo responsabile è cruciale.
L’impatto dell’AI sul mercato del lavoro è al centro di un acceso dibattito. Come si possono superare i timori nei lavoratori che vedono nella Gen AI un pericolo?
È nella natura umana avere un po’ di diffidenza all’innovazione, ma sono certo che la Gen AI non sostituirà il lavoro dell’uomo. Sicuramente andrà affrontato del change management nelle aziende, ma si creeranno nuovi ruoli. Per esempio, l’AI Act ha generato nuove figure professionali, chiamate a monitorare i modelli e garantire una conformità normativa. Potremmo paragonare l’AI alla scoperta del fuoco: inizialmente gli uomini primitivi si saranno anche scottati, ma poi questa innovazione è stata alla base della nostra civiltà. Il vero cambiamento a cui siamo chiamati è quello di promuovere una cultura del dato e fornire una formazione adeguata per gestire questa evoluzione.