Gen AI nel marketing? Risultati aridi e inefficaci senza l’intuito dell’uomo

Claudio-Calo-Feltrinelli

L’intervista a Claudio Calò, Group Chief Marketing Officer di Gruppo Feltrinelli è parte dello speciale

THE HUMAN TOUCH


Un brand storico dell’industria culturale come Feltrinelli che utilizzo fa di big data e A.I. nelle sue attività di marketing?
I dati sono fondamentali e il nostro obiettivo è utilizzarli in maniera sempre più evoluta per conoscere il lettore e i suoi gusti, instaurare con lui un rapporto migliore e, di conseguenza, offrire anche un servizio più puntuale. Credo che un uso efficiente dei dati sia un veicolo di precisione decisivo per raggiungere il cliente, in un percorso dove “l’ultimo miglio” rimane imprescindibilmente umano. La macchina serve a fare chiarezza sullo storico dei comportamenti, degli acquisti, delle preferenze, ma alla fine l’ingrediente che fa la differenza rimane la sensibilità dell’editore, del libraio e in ultima analisi, del marchio verso le persone.

In pratica le nuove tecnologie aiutano a migliorare la relazione umana?
Assolutamente sì. Vale anche per l’intelligenza artificiale, una tecnologia interessante che stiamo sperimentando per comprendere a che livello possa essere d’aiuto, purché sia sempre gestita a livello strategico dalle persone.

Feltrinelli è un brand culturale dall’heritage importante: come creare una relazione significativa con i consumatori di oggi utilizzando mezzi e linguaggi moderni, senza tradire i valori fondanti del marchio?
Innanzitutto, credo sia importante decidere, riaffermare e riconfermare chi si è, cioè chi è Feltrinelli e quali sono i valori della marca. Una volta chiarito questo punto, internamente ancor prima che nei confronti del pubblico, ne consegue tutto il resto. È un equivoco pensare che l’editoria sia un’industria un po’ vecchia e lenta perché produce libri di carta, una delle tecnologie più antiche del mondo. In realtà l’editoria sceglie, organizza e offre storie. Certo, queste tradizionalmente e ancora oggi in massima parte vengono diffuse attraverso i libri, ma anche attraverso altri mezzi narrativi: piattaforme, podcast, audiolibri… Sono tutti mezzi al servizio di quello che noi pensiamo debba essere un editore totale, in quanto selezionatore e curatore di un’offerta di storie, racconti e spiegazioni della realtà. In conclusione, non vedo in contrasto lo statuto di editore come qualcosa di sacro e intoccabile rispetto all’uso dei diversi mezzi, che è anzi assolutamente coerente con ciò che siamo.

Quindi, il lavoro del marketer in un’azienda editoriale è affine a quello negli altri settori?
Sì, in qualche modo è affine, perché deve esserci una conoscenza di gestione strategica di base. E con strategia intendo scegliere chi si è e come rappresentarsi. Questo vale in ogni settore e da questa scelta iniziale consegue tutto il resto. Feltrinelli ha fatto fin dalla sua nascita la scelta identitaria molto chiara di voler essere un luogo di apertura, di discussione, uno spazio in cui mettersi in discussione, che, come editore, intende offrire mezzi per una migliore comprensione del reale.

Come curatori di storie dovreste essere particolarmente portati allo storytelling, che è poi la base del marketing moderno…
Il rapporto con i nostri autori è senza dubbio un privilegio per chi fa il nostro lavoro, e questa componente di curatela delle storie parte dall’editore, passa dagli autori e arriva poi fino alle librerie. È l’impronta di Giangiacomo Feltrinelli, fatta sua da Carlo Feltrinelli e da noi tutti nel gruppo. Il libraio è un mestiere dalla forte componente editoriale, attraverso la scelta e la proposta delle migliori storie per il pubblico. Le librerie diventano così una sorta di prima pagina tridimensionale di un quotidiano. Il libraio non solo offre un servizio e batte un prodotto in cassa ma, consapevole e cosciente dell’offerta, sa filtrare i gusti, consigliare, unendo la proposta editoriale e i desideri del lettore.

Avete appena lanciato la prima campagna di comunicazione di gruppo, definita: «un invito alla lettura come strumento per fotografare la realtà, comprenderla e provare a dare un nome alle più controverse sfide del presente». Perché avete deciso di intraprendere questa strada?
Ho percepito nel gruppo l’urgenza di riaffermare la propria identità. È vero che Feltrinelli ha una lunga e illustre tradizione, ma non potevamo dare per scontato che i più giovani sapessero chi siamo. Era necessario tornare a posizionarci, proprio nel senso di prendere una posizione. «Leggere insegna a leggere» è una campagna che fa del libro, qualunque esso sia, una lente che toglie l’opacità dal mondo per riuscire a leggerlo. Quindi la lettura, intesa in senso tradizionale, aiuta la lettura intesa nel senso più ampio possibile, cioè l’interpretazione del reale. Poco fa parlavamo di tecnologia, il che mi ha fatto pensare ad Angus Fletcher, un professore della Ohio State University, che in un suo libro definisce la letteratura una tecnologia scientifica. Secondo lui, come il digitale aiuta a computare i dati per averne una comprensione migliore, così la letteratura e le storie sono una tecnologia che dà accesso alla comprensione dei rapporti umani e dei sentimenti. Senza letteratura non avremmo gli strumenti tecnici per comprendere certe cose.

Concretamente, come è stata elaborata questa campagna?
Abbiamo selezionato attentamente il nostro partner creativo, perché non desideravamo solo un’agenzia professionale, ma una che capisse anche profondamente chi siamo. Cercavamo un’assonanza di valori. Una volta trovata, c’è stato un brief creativo, che è passato attraverso una definizione identitaria, che ha poi necessitato di una traduzione creativa che le facesse fare un salto di qualità. Ci è sembrato che il connubio tra questi scatti di attualità e il titolo del classico che offre un’interpretazione, abbinati al claim «Leggere insegna a leggere», agissero sul piano logico ed emotivo allo stesso tempo. Al momento abbiamo scelto cinque temi che ci stanno a cuore dal punto di vista umano – l’omogenitorialità, la sostenibilità, i giovani, l’educazione e l’intelligenza artificiale –, ma pensiamo che questo approccio si possa applicare a tutto ciò che accade nel mondo, di cui Feltrinelli si occupa attraverso le proprie edizioni e i propri autori.

Quindi, è la creatività la componente prettamente umana insostituibile?
Certo. Oggi l’A.I. generativa, dato un determinato brief, è in grado di produrre una campagna pubblicitaria. Per pura curiosità ci abbiamo anche provato. La verità, però, è che il risultato, benché corretto perché coerente con le indicazioni date, è arido e inefficace, perché manca di quell’intuizione empatica tipicamente umana che fa arrivare al consumatore i valori del marchio.

Accennava alla necessità di prendere posizione come brand: nasce in risposta alle nuove esigenze dei consumatori, che cercano sempre più aziende con valori in cui possano riconoscersi?
Da un lato è un’esigenza del mercato cui, giustamente, l’azienda risponde, ma sono convinto che in primo luogo sia stata un’esigenza dell’azienda stessa di scegliere i propri valori e presentarsi in modo coerente, fiero e preciso, prima ancora di entrare nel merito del servizio o del prodotto offerto. Anche a costo di allontanare chi non si riconosce in tale proposta valoriale.

Nella sua carriera c’è stata una campagna in particolare per la cui elaborazione il fattore umano è stato decisivo?
Per la stagione 2017-2018 ho promosso la campagna per Emporio Armani «Everyone wears EA». Abbiamo puntato su fotografi agli esordi e su persone “vere”, raccontando le loro storie. Questa attenzione al racconto era piuttosto inedita per la moda, e mi piace considerare questa campagna come un collegamento tra il mio recente passato e la mia esperienza presente in Feltrinelli, in cui il racconto e le storie sono naturalmente centrali. Una centralità che abbiamo voluto ribadire con forza con la campagna «Leggere insegna a leggere», che rimette i libri, portatori di idee e storie, al centro delle trasformazioni del contemporaneo, lenti indagatrici per leggere il presente e costruire il futuro. Una testimonianza piena del valore del fattore umano.


Questa intervista è stata pubblicata sul numero di Business People di novembre 2023. Scarica il numero o abbonati qui

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