eCommerce per le pmi: più che un costo, un investimento

Il parere di Luca Carbonelli, General Manager di Caffè Carbonelli e consulente in e-commerce e gestione di impresa per le pmi

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L’intervista a Luca Carbonelli è parte di 

Ecommerce, sì o no? Il dilemma delle pmi


Pochi prodotti come il caffè possono rappresentare il concetto di Made in Italy. Nel 2019 Luca Carbonelli – General Manager di Caffè Carbonelli e consulente in e-commerce e gestione di impresa per le pmi – divenne un caso di successo editoriale con il suo Falla esplodere: come una piccola impresa può affrontare la trasformazione digitale, spingendo di certo molte aziende medio piccole italiane a guardarsi bene intorno.

Cosa è cambiato in questi quattro anni?
Per spiegare il perché le pmi italiane sono ancora restie alla vendita online, soprattutto attraverso i marketplace, è bene partire dai numeri: fare e-commerce costa. Fare e-commerce attraverso i marketplace costa un po’ di più. Fare e-commerce oggi attraverso i marketplace costa di più rispetto a ieri, perché oggi si ha la concorrenza delle grandi aziende che fino a poco tempo fa snobbavano totalmente l’e-commerce; che poi hanno iniziato a parlarne come “canale alternativo”. Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove sul canale investono anche cifre spropositate e ingiustificate. Ecco che per le piccole imprese, oltre ai costi di gestione, le commissioni sul prezzo di vendita finale e i costi di trasporto, si sono aggiunti costi pubblicitari senza i quali sono davvero pochi i brand che riescono a prevalere. Agli inizi degli anni Duemila, invece, le pmi riuscivano a prevalere nel mercato online anche solo grazie all’intraprendenza e, ovviamente, al valore dei propri prodotti.

Lei è stato il primo in Italia a fare e-commerce del caffè.
Ricordo che dopo un po’ che iniziai a vendere il mio caffè online, la mia piccola impresa familiare divenne un caso aziendale perché riusciva a fatturare molto più di quanto facessero sullo stesso canale i grandi colossi del settore, che per anni avevano snobbato l’e-commerce. La spinta delle vendite online, poi, trainava quello che era il fatturato anche offline grazie all’internazionalizza zione: essere presenti online permetteva ai miei prodotti di arrivare in qualsiasi parte del mondo; e, mentre privati e consumatori finali acquistavano e apprezzavano il prodotto lasciando decine di migliaia di feedback che hanno fatto le fortune della mia e di tante altre pmi presenti online dai primissimi tempi di cultura dell’e-commerce, nascevano, nello stesso periodo, grandi e piccoli rivenditori in tutta Europa che, grazie alle richieste che iniziavano ad avere dai propri clienti, decidevano di riproporre il mio caffè nelle loro rivendite per tenersi stretti quei clienti che avevano già imparato a cercarlo e ad acquistarlo da soli direttamente online. Una rivoluzione.

Forse i dati, il marketing e la comunicazione hanno fuorviato le pmi?
Per anni, attraverso associazioni e consorzi direttamente interessati, è stato veicolato il messaggio fuorviante, troppo generico, che ogni anno in Italia l’e-commerce cresceva di circa il 20%. Il punto è che a crescere erano gli acquisti che avvenivano soprattutto sui marketplace (Amazon su tutti), e non il numero di venditori. A crescere erano le vendite dei soliti noti colossi o, nella maggior parte dei casi, di quei prodotti che vengono venduti direttamente da Amazon, che precedentemente li acquista dai produttori per rivenderli traendo i propri profitti.

Volendo fare sintesi sulle paure delle pmi, dove mettere la lente di ingrandimento?
Sono ancora poche le pmi che gestiscono il proprio mercato direttamente sulla piattaforma, perché sono spaventate dai costi applicati ai merchant. Il punto è che questi costi dovrebbero essere visti come investimento dalle aziende, ma mentalità ancora arretrate degli imprenditori, coadiuvate da anni di messaggi di politici che hanno fatto propaganda contro i grandi colossi dell’e-commerce – danneggiando di fatto l’espansione delle pmi – hanno contribuito a far credere che il marketplace fosse un nemico e non un alleato.

I marketplace quindi amici, non nemici.
In realtà devono essere considerati ormai come un’ulteriore risorsa commerciale a beneficio del fatturato di ogni azienda. Ogni risorsa ha i suoi costi di gestione, e anche i marketplace li hanno. Ovvio che la capacità di gestire e assorbire questi costi è molto soggettiva e varia da azienda ad azienda, mentre oggettivi sono invece i costi che, in linea di massima, sono uguali per tutti quelli che decidono di sfruttare le piattaforme. Altro scoglio importante è la gestione della logistica: quando si vende online, oltre che il proprio prodotto, si vende anche un servizio che è rappresentato dalla tempestività e dalla precisione delle consegne. Troppo spesso chi inizia a vendere online lo fa credendo di lavorare con le stesse dinamiche e con gli stessi tempi delle vendite offline. E non è così. Quando ci si rende conto che l’e-commerce ha tempi totalmente diversi dal mercato più tradizionale, le aziende si scoraggiano perché non si sentono preparate a governare il nuovo flusso di lavoro. Soprattutto, non si sentono pronte e non hanno voglia di investire in personale adeguatamente preparato che possa organizzare e gestire le nuove attività. C’è da lavorare su queste paure.

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